Esiste una retorica che è propria del potere e talvolta risulta essere efficace, raffinata, valida. Purtroppo, per chi quel potere lo combatte, per fortuna per chi lo esercita. Ma la retorica di chi oggi manovra le leve di comando in Italia ha caratteristiche peculiari: è elementare, banale, vuota, lontanissima da quella antica arte glorificata dai classici. Una comunicazione sterile, dozzinale, basata sulle menzogne e sugli slogan, frasi brevi che vengono ripetute ossessivamente per ottenere forza e consenso. Soprattutto per riuscire a schiacciare la verità che le metterebbe a nudo.

Un po’ come quando rimproveri qualcuno per qualcosa che ha innegabilmente commesso e quel qualcuno reagisce mettendosi le mani alle orecchie e urlando suoni incomprensibili pur di non sentire. Oppure ripetendo ossessivamente “non sono stato io”. Siamo all’infantilismo politico, che è specchio di un infantilismo di popolo. Un popolo sempre più scadente, incapace di leggere e approfondire. Così il potere ha buon gioco, aiutato da un mondo dell’informazione irresponsabile, amplificatore di bugie, manipolatore di verità, stretto al guinzaglio di convenienze oscene. Il web e i social, divenuti strumento di comunicazione diretta (da chi comanda), hanno sdoganato i vizi peggiori degli italiani e annullato la distanza tra chi è competente e chi non lo è.

Oggi, chiunque può autoproclamarsi esperto di materie che non ha mai nemmeno da lontano conosciuto. E quell’arroganza, unita all’abitudine al complotto, diventa arma da sfoderare per sminuire o perfino deridere chi invece sa, chi studia e testa empiricamente il proprio sapere. Le responsabilità passate della politica, il cedimento verso il basso, il desiderio di avere un contatto falsamente immediato (ma astutamente mediato) con gli elettori, hanno prodotto una situazione pericolosa. Socialmente e culturalmente drammatica. Ciò si esprime nella comunicazione ma anche nella partecipazione. La politica, che un tempo per molti era materia noiosa da delegare a chi si era formato o ne era mestierante, oggi è divenuta materia disponibile, argomento di consumo, terreno accessibile a tutti.

In un contesto maturo e virtuoso, questo dovrebbe essere un bene, un toccasana per l’interesse collettivo. E invece, nella condizione attuale, dopo anni di abbassamento del livello culturale del Paese e di demolizione costante e trasversale della scuola e del sapere, ciò diventa una pericolosa patologia. Un virus che si radica, infetta il tessuto connettivo della democrazia e rischia di resistere alle cure, di sopravvivere agli untori politici. Non sono più solo il ministro dell’Interno e i suoi colleghi di governo a costituire il problema e la minaccia. Ma è la loro irresponsabilità, la loro strafottenza, che condividono anche con i governi precedenti, rispetto al futuro, a ciò che andrà oltre la loro esperienza di potere e di vita.

Non c’è lungimiranza e amore per il Paese, ma solo la voglia di polarizzarlo per i propri scopi, devastando decenni di conquiste, valori, principi inossidabili. Siamo di fronte alla vandalizzazione della Repubblica. Una vandalizzazione utile ai fini di chi comanda, di chi si gioca il potere nella roulette del consenso, infischiandosene delle macerie tra le quali noi tutti, pro e contro, di oggi e di domani, ci troveremo a camminare. A facilitare questo gioco sporco, questo attentato alle generazioni future, è la debolezza della contronarrazione del potere. Ci si limita all’invettiva o alla denuncia, sacrosante ma spesso poco efficaci, oppure si sceglie un ridicolo silenzio, giustificato dalla ossessione per gli algoritmi, ormai più leggenda che realtà del web.

Quello che manca è il dito che indica che i sovrani sono nudi, mettendo in mostra la contraddizione del potere, le debolezze, smontando il racconto che ci parla di uomini forti, sopravvalutandoli, contribuendo indirettamente a renderli attraenti. Davanti a un ministro che prima si dice pronto all’ergastolo pur di difendere il suo Paese e poi, davanti alla prospettiva reale di essere incriminato, si terrorizza, elemosinando l’aiuto dei senatori, continuare a parlare di uomo forte per timore di vittimizzarlo, invece di evidenziarne la paura, è funzionale alla persistenza di quel potere.

Allo stesso modo, è sbagliato l’atteggiamento di giornalisti e osservatori ritenuti di opposizione, i quali prestano il fianco alla retorica di governo, parlando di responsabilità dell’Europa e dimenticando quelle evidenti dell’Italia. Sia nei confronti della delega alla Libia di gestire i soccorsi in mare, sia nei confronti della possibilità di riformare Dublino, con il progetto che l’anno scorso, in Commissione Europea, ha avuto il voto contrario o l’astensione proprio delle due forze di governo. Quelle che chiedono all’Europa di dividersi l’accoglienza, ma poi, per motivi esclusivamente politici (alleanza sovranista con i paesi del Visegrad), agiscono in direzione contraria.

Banale e volgare la retorica del potere in Italia. Ingenua e molle l’azione di chi si oppone. Flebile e timida la voce degli intellettuali. Una situazione difficile, non realmente paragonabile ad altri contesti storici e pertanto più imprevedibile e pericolosa. Sarebbe meglio accorgersene prima che sia troppo tardi. E suonare la sveglia. Per noi stessi e per chi verrà dopo di noi.

Massimiliano Perna -ilmegafono.org