“Riapriamo gli stadi, ma non teatri né live, magari faccio due palleggi, mai dire mai”: così cantava a Sanremo Willie Peyote con la sua Mai dire mai (La Locura). E aveva ragione. Anzi, a quanto pare non sono solo i musicisti quelli che farebbero bene a imparare a palleggiare. L’ultima sconcertante notizia proveniente dal Ministero della Cultura (dal 26 febbraio nuovamente MiC) è l’annuncio di circa un centinaio di milioni di euro del Recovery Fund che saranno destinati al restauro dello Stadio Artemio Franchi di Firenze, conseguenza di un commovente appello del sindaco Dario Nardella che, a fiducia approvata, non ha risparmiato importanti parole di ringraziamento su tutti i media. All’uscita della notizia, nel mondo culturale, specialmente didattico e museale, si è scatenato un polverone incredibile.

La prima reazione è quella di Carlo Calenda, il quale, poco dopo con un tweet dichiara: “A parte il fatto che dubito fortemente che possa essere finanziato con RF. Ma con tutti i gap educativi, di genere, età, istruzione, reddito etc…lo stadio. Come sbagliare completamente l’ordine delle priorità”. A questo tweet il sindaco fiorentino ha subito replicato: “Caro Carlo, mi dispiace correggerti ma lo stadio Franchi, progettato dall’architetto Nervi, è classificato come bene culturale di proprietà pubblica, vincolato e di interesse mondiale, certificato dall’Unesco, e per questo rientra tra i progetti del RP di competenza del MiBACT. Per i gap educativi e ambientali ci sono altri finanziamenti dello stesso Piano, di entità decisamente superiore. Poi se sei contrario a usare fondi europei per la cultura, rispetto la tua opinione, ma io penso che abbiamo l’obbligo di tutelare il nostro patrimonio storico”.

Se da un lato è vero che lo stadio Franchi è un bene Unesco, è anche vero che questo certificato è arrivato appena qualche mese fa. Ed è anche vero che “gli ultimi saranno i primi”, ma così sembra un po’ esagerato. Ma com’è stato possibile destinare una così importante somma del Ministero della Cultura a quello che comunque è uno stadio? La vice sottosegretaria aggiunta del dicastero, la Dott.ssa Gemma Strata, ha dichiarato che è bastato apportare qualche piccola modifica alla terminologia, come “restauro” al posto di “restyling”, e per i dubbi sollevati sul progetto dell’ampia galleria commerciale – che di culturale sembra avere ben poco – è bastato aggiungere una libreria per risolvere tutti i problemi burocratici. Che poi sia un vero e proprio bookshop o un sottoscala arredato da Ikea che ci mette pure i libri dentro, ha poca importanza. In fondo è sempre uno stadio.

Ma si pensa anche di creare il primo polo museale dedicato al calcio mettendo dentro il museo della Fiorentina, il museo della Nazionale e il museo del Calcio in Costume, in collaborazione con la sede storica del Palagio di parte Guelfa che, forse, avrebbe più senso. La rabbia, la frustrazione e lo sconcerto derivano però da un anno e mezzo di profondo silenzio da parte del ministro Franceschini sul mondo della Cultura: teatri, cinema, fiere, musei, gallerie, festival, mostre significano centinaia di migliaia di famiglie rimaste nel baratro che aspettano da mesi una risposta alle centinaia di lettere mandate, alle mille domande poste, alle infinite proposte e soluzioni varie per accompagnare queste realtà alla riapertura. Il Ministero delle Comunicazioni ha riaperto in sicurezza i programmi tv/radio per permettere agli intrattenitori di continuare loro lavoro; il Ministero dello Sport ha riaperto gli stadi per permettere agli atleti di continuare il loro lavoro, così come per le altre strutture sportive agonistiche. La prima decisione del Ministero della Cultura sui fondi da stanziare, invece, è per uno stadio!

I musei chiudono, i teatri crollano, i cinema riescono ad aprire solo se proiettano la messa, i parchi archeologici sono in totale stato d’abbandono, abbiamo opere di Raffaello, Bellini, Pinturicchio, Michelangelo, che un tempo decoravano gli Appartamenti Borgia, bloccate al Musée Maillol di Parigi perché, dopo il prestito per la mostra Las Borgia, la società di coordinamento dell’evento è fallita e i musei proprietari devono andare a prendersele a loro spese. Abbiamo una carrellata infinita di bandi per restauratori, accoglienza, logistiche per Musei Civici, Statali e Archeologici categoricamente su base volontaria, perché dopo 10 anni di studi e gavette non ti puoi aspettare mica una paga e un po’ di stabilità. Abbiamo la cultura sull’orlo del collasso, gestita dal “Ministero del Silenzio”, e ci si preoccupa di dare fondi a uno stadio. Forse è davvero meglio che impariamo a palleggiare.

Sarah Campisi -ilmegafono.org