Che anno strano il 2020! Potremmo vederlo come un anno da dimenticare oppure cominciare a sentirlo come l’anno in cui tutti siamo diventati gli eredi di quelle grandi figure che al mondo dell’arte, della letteratura e dello spettacolo hanno dedicato la loro esistenza e che con grande generosità ci hanno reso spettatori di opere straordinarie, uniche. Lo scorso mese di maggio si è chiuso salutando un artista che ha sdoganato il concetto stesso di arte, rendendo arte ciò che temporaneamente sparisce davanti ai nostri occhi, trasformando quel vuoto solo apparente in una testimonianza da conservare e raccontare. Christo Vladimirov Javacheff, in arte semplicemente Christo, il 31 maggio scorso, all’età di 84 anni, ha compiuto il suo ultimo viaggio e la notizia ha fatto il giro del mondo, quello stesso mondo che, insieme alla moglie Jeanne Claude Denat de Guillebon, hanno attraversato in lungo e in largo per ridisegnarlo con nastri e tele colorate.

Nato nel 1935 in Bulgaria, un paese comunista estremamente oppressivo, Christo scappò in Europa occidentale dove visse da rifugiato politico per seguire il suo sogno, fare l’artista (o l’architetto) e per dar forma alla sua aspirazione, per essere finalmente libero. Nel 1961 a Parigi conobbe la sua compagna, Jeanne Claude, e da allora le loro vite si sono intrecciate anche professionalmente diventando una delle coppie più famose della storia dell’arte e di quel movimento chiamato Land Art. (Questo il link del loro sito https://christojeanneclaude.net/). In quasi cinquant’anni di vita e di carriera, Christo e Jeanne Claude, con la loro tecnica dell’“impacchettamento”, hanno trasformato radicalmente ma sempre in maniera temporanea tantissimi paesaggi, urbani e non.

Ad esempio, la Kunsthalle di Berna, primo edificio imballato nel 1968; la Valley Curtain del 1972 a Rifle, dove un telo di circa 19.000 mq univa le catene montuose del Colorado; le undici isole nella baia di Biscayne, di fronte a Miami, circondate con un vivacissimo tessuto rosa nel progetto Surrounded Islands dei primi anni ‘80; il Pont Neuf di Parigi impacchettato nel 1985; l’installazione The Umbrellas del 1991, unica opera allestita in contemporanea in due paesi diversi (Stati Uniti e Giappone), dove 3.100 ombrelli di colore giallo sottolineavano somiglianze e diversità nel modo di vivere e nel modo di confrontarsi con il paesaggio di due nazioni lontane tra loro. E poi ancora il Reichstag di Berlino impacchettato nel 1995 e The Gates, il progetto realizzato nel 2005 al Central Park di New York con installazione di 7.503 “porte” in tessuto e vinile.

Ogni progetto nell’arco di questi cinquant’anni di carriera artistica è stato sognato, progettato e realizzato da Christo e da Jeanne Claude, fino al 2009, anno in cui Jeanne Claude morì. Nei successivi 11 anni, Christo ha continuato a seguire la strada percorsa con la compagna, intervenendo sul paesaggio, modificandolo in maniera temporanea e documentando ogni fase del lavoro, dalla progettazione alla sua realizzazione. Di questo nuovo periodo artistico ricordiamo uno degli interventi più suggestivi, la passerella sul Lago di Iseo, The Floating Piers, del 2016. Una passeggiata sull’acqua. Un percorso galleggiante lungo 3 chilometri rivestito completamente di tessuto color giallo, che collegava la sponda orientale del Lago d’Iseo con l’isola di Monte Isola e l’Isola di San Paolo.

E quest’anno era riuscito ad ottenere finalmente le autorizzazioni che gli avrebbero permesso di realizzare il progetto L’Arc de Triomphe Wrapped, l’impacchettamento dell’Arco di Trionfo a Parigi con 25.000 metri di polypropylene riciclato blu e 7.000 metri di corda rossa. L’Arc de Triomphe Wrapped è forse il più lungo tra i progetti di Christo e Jeanne-Claude. Ideato nel 1962, quando Christo ne realizzò il primo fotomontaggio, questo progetto fino a non molto tempo fa era conservato nel cassetto delle opere non realizzate. Solo grazie ad un’amministrazione più visionaria, dopo ben più di cinquant’anni, finalmente il prossimo autunno avrebbe dovuto prendere forma, ma il Coronavirus ha costretto il posticipo dell’allestimento al 2021. Peccato che Christo non potrà vedere il risultato della sua ostinata idea di arte, della sua straordinaria forza di volontà, del suo essere determinato e aver creduto ad ogni suo progetto, averci creduto sempre al di là del tempo che divideva il concepimento dell’opera dalla sua realizzazione.

Proprio il fattore “tempo” è uno degli elementi fondamentali nel percorso artistico di Christo e Jeanne-Claude. Dietro ogni opera infatti ci sono anni, a volte decenni, di ricerca, lavoro, burocrazia e raccolta fondi. Ogni loro opera, oltre alla fase progettuale, prevede un attento lavoro di ricerca dei siti, per passare poi all’ottenimento dei permessi da parte delle autorità (che a volte rappresenta la fase più complessa e lunga), ma soprattutto richiede la ricerca dei fondi per la realizzazione, con campagne di auto-finanziamento e che, in completa autonomia, avvengono tramite la vendita dei bozzetti del progetto stesso. La scelta di autofinanziare ogni opera è uno dei modelli di libertà a cui Christo e Jeanne-Claude non hanno mai voluto rinunciare. Una beffa al capitalismo che vorrebbe possedere tutto ma che non doveva possedere la loro arte, la loro libertà.

Le loro opere non hanno avuto committenti, non hanno avuto padroni, sono state pensate sempre per spazi pubblici e per poter essere di tutti, poter essere vissute da chiunque senza pagare alcun biglietto. Per questa ragione la loro arte è sinonimo di libertà da quando viene immaginata a quando prende vita per essere consegnata a noi fruitori che, attraversandola, ne diventiamo parte. Da oggi continueremo a far parte delle loro installazioni ma in modo diverso, viaggiando dentro quelle magiche fusioni con l’architettura, l’urbanistica e il paesaggio attraverso l’attento e minuzioso lavoro di documentazione che, dall’idea iniziale alla messa in opera, racconta tutti i passi della loro arte, temporanea nel paesaggio ma incancellabile nelle immagini.

Serena Gilè -ilmegafono.org