Non chiamatele morti bianche. Perché di bianco non c’è nulla, se non le pagine vuote di una politica che, nel suo insieme, non è capace di assegnare la minima attenzione al tema della sicurezza sul lavoro. Le morti, piuttosto, sono rosse di sangue e grige di rabbia. Pochi giorni fa, l’ennesima. Alla FCA di Cassino. A morire è stato Fabrizio Greco, operaio, sposato e padre di due bambine. Nome e cognome, vita reale, affetti, pensieri, sacrifici, sudore e fatica. Non un numero, una cifra fredda. E la cosa angosciante è che siamo quasi certi che non rimarrà a lungo l’ultimo di una lista che sembra infinita. Temiamo che tra la scrittura di questo articolo e il giorno della sua pubblicazione, l’elenco dei morti potrebbe crescere ancora. Ogni giorno, ogni ora, infatti, in questo Paese un lavoratore rimane vittima di un infortunio o di un incidente mortale.

Sono cifre da bollettino di guerra e purtroppo sono in costante aumento, tanto da far pensare che il 2019 possa essere un anno record in negativo, superando il 2018, che già di morti ne aveva registrati 1133 (dati Inail). Anche se le stime sono sempre in difetto, perché in realtà (e questo è un problema ulteriore) questi sono i casi denunciati, ma le vittime sono molte di più, se si considera che tanti lavoratori sono sfruttati e in nero e le loro morti sul lavoro spesso vengono “nascoste”, trasformate in altro, spostate in altri luoghi. In tutto questo orrore quotidiano, quello che si aggiunge al dolore delle famiglie e dei colleghi di lavoro, è il silenzio colpevole dei governi. Non solo l’ultimo, ma tutti quelli che si sono susseguiti in questi anni, a partire da chi ha pensato più ad incentivare le aziende e a togliere tutele che a garantire i diritti dei lavoratori e il rispetto delle norme sulla sicurezza.

L’Italia è un far west. Un luogo nel quale il lavoro è quasi sempre sottopagato, privo di quelle condizioni minime che sono fondamentali anche per ridurre i rischi per l’incolumità del lavoratore. Di fronte allo sfruttamento, alle paghe selvagge, ai turni di lavoro bestiali, al sommerso, alla progressiva de-sindacalizzazione dei luoghi di lavoro, alla debolezza di un sindacato sempre meno capace di occuparsi delle categorie meno tutelate, di fronte alla sregolata fisionomia di certe nuove professioni ad elevato rischio, alla assenza endemica di controlli e ispezioni a tappeto sulle aziende e sui luoghi di lavoro, alla applicazione delle sanzioni, cosa troviamo? Il vuoto. Non esiste da anni un dibattito politico sul lavoro, sulla sicurezza sul lavoro. Ci siamo dimenticati in fretta la ThyssenKrupp e i tanti altri casi successivi altrettanto eclatanti. Ogni tanto si racconta di un morto, se è il caso si sceglie di dare uno spazio in più rispetto al solito trafiletto, magari si menziona anche il nome o la storia della vittima.

Giusto il tempo per ascoltare qualche frase di facciata, qualche promessa del ministro di turno, qualche rivendicazione di leader sindacali sempre più affini ai salotti buoni che alle fabbriche, e poi tutto torna nel silenzio generale. Per lasciare spazio a temi che il lavoro lo toccano solo strumentalmente e mai dal lato delle reali esigenze dei lavoratori. Questo è il Paese del Jobs Act, del reddito di cittadinanza, dell’omertà sui morti sul lavoro. Ma soprattutto è il Paese che se ne infischia dei diritti altrui. Siamo l’Italia della guerra ai migranti, dei porti chiusi, del razzismo istituzionale, degli accordi in Libia, dell’odio verso la solidarietà. Quella solidarietà che invece dovrebbe essere punto di forza per lottare per i diritti di tutti. La solidarietà come collante, sotto la bandiera degli sfruttati e della lotta a un sistema che oggi dorme tranquillo. E invece l’egoismo, lo spostamento della colpa in direzione degli ultimi sono la maniera perfetta per rimboccare le coperte a chi costruisce potere e sfruttamento.

La maniera perfetta per fare in modo che si muoia ancora. Tutti. Bianchi e neri, italiani e non, adulti e giovani, di destra o di sinistra. Si muore tutti, schiacciati da una pressa, da un macchinario o da un muletto in un’officina, schiantati al suolo dopo esser caduti da una impalcatura, stroncati da un malore dentro un campo di pomodori sotto il sole bollente, asfissiati dentro una cisterna, investiti mentre si lavora in autostrada, travolti mentre si corre in bicicletta a consegnare la pizza a chi se ne sbatte se dietro quella consegna ci sono uno sfruttamento bestiale e condizioni di lavoro disumane. Così come ci si ammala, ci si infortuna, si perdono braccia, dita, piedi, mani, ci si sfianca di stress per turni abominevoli. Ci si ammala per le condizioni igieniche carenti, per l’assenza di dispositivi di protezione, per il fottuto risparmio che il padrone usa come leva aziendale per rimpinguare il proprio profitto a scapito di chi lo rende possibile. Ci si ammala e si muore e spesso senza che ciò venga compensato da diritti e giustizia.

Perché il lavoro in Italia, dall’agricoltura all’edilizia, dall’industria alla logistica, dalla gdo ai rider è infilato in una enorme stanza buia nella quale gli interruttori sono in mano a chi non ha la minima intenzione di pigiare sull’accensione. Perché l’assenza di diritti fa comodo a chi finanzia la politica o a chi comunque ci intrattiene rapporti di utile scambio. La stessa ragione per la quale la stessa politica cerca di rendere complicatissima la regolarizzazione della manodopera straniera: regolarità vuol dire diritti e rivendicazioni. Quindi significa non potere avere mano libera, dover rinunciare a qualcosa in termini di guadagno. Davanti a un esercito così potente e spietato, compatto e trasversale, allora, i lavoratori, soprattutto quelli che vivono le condizioni più rischiose, umili, difficili, sono le pedine ideali di una scacchiera economica gestita in modo corresponsabile da aziende e istituzioni e con lo sguardo assente o quantomeno distratto di parte del mondo sindacale.

Allora non chiamatele morti bianche. In Italia le morti non sono bianche. Non sono fantasmi, non sono morti casuali, né sono sconosciute le cause. In Italia le morti sono morti reali, concrete, con nomi e cognomi da scrivere nell’elenco di chi è andato a lavorare e non è più tornato. Non sono casuali, non sono incidenti, sono il risultato di un sistema politico ed economico colpevole. Sono omicidi. Sono stragi. Sono la coscienza sporca di un Paese che ha smesso da tempo e strategicamente di essere civile e di occuparsi delle sue reali priorità.

Massimiliano Perna -ilmegafonoorg