È bastato poco per ritornare al passato, pochissimo per riproporre il capitolo più letto del sovranismo all’italiana. Sono tornati subito a gracchiare gli intransigenti difensori del presunto interesse nazionale, gli arditi alfieri della tolleranza zero, i duri generali (o meglio ex prefetti), i vili yes man e le incompetenti ma feroci passionarie della destra italiana. Sono nuovamente in prima linea gli autoproclamati patrioti d’Italia, quelli che dovevano salvare la nazione e il popolo dalle piaghe della crisi, dai disastri del passato, da tutto ciò che “gli altri” (perché sono sempre gli altri) hanno fatto al nostro Paese. È bastato poco per tornare a sentire il suono stridulo della retorica della destra xenofoba, tutta concentrata sulla questione migratoria, profusa in una ridicola riproposizione di una linea che ha già fatto acqua in passato, con conseguenze politiche e giudiziarie. La guerra alle ong, le richieste di approdo respinte per giorni, la vergogna della novità dello sbarco selettivo, punti cardine di una linea dura che si è sgretolata di fronte alle resistenze dei comandanti, alle proteste di Unione Europea, Onu e di alcuni Stati.

Una linea inaccettabile che, questa volta, ha scatenato una crisi diplomatica pericolosa. Al di là delle pezze che il presidente della Repubblica, Mattarella, ha cercato di mettere per ricucire i rapporti con la Francia, l’effetto della politica allo sbaraglio (e di ispirazione salviniana) di Giorgia Meloni e dei suoi è stato quello di mettere l’Italia in una pericolosa posizione di isolamento internazionale. Uno strappo proprio con quei Paesi con i quali le relazioni positive sono fondamentali su tanti fronti e non solo in questa fase storica. Uno strappo insensato, che ha scatenato la retorica destrorsa, intrisa di un patriottismo tanto fiero quanto ipocrita. Proprio così, perché quando La Russa, nel suo disequilibrato esercizio del ruolo di presidente del Senato, parla di linea della fermezza, o quando Giorgia Meloni si dice colpita dalla reazione aggressiva della Francia, dopo il caso della Ocean Viking, emerge con evidenza l’incapacità di questo governo e della classe dirigente della destra italiana di agire politicamente nel rispetto delle norme.

Invece di definire “bizzarra” la scelta dei medici di disporre la discesa di tutti i profughi a bordo delle navi approdate in Sicilia, Meloni dovrebbe preoccuparsi di quanto sia bizzarro che una parte politica che si presenta, almeno nella sua costruzione artificiale, come intransigente sul rispetto della legge, poi continui a violarla sistematicamente. Il neoeletto governo italiano, infatti, insiste con la linea fallimentare di Matteo Salvini, che ancora in questi giorni, dopo la pessima figura fatta dall’Italia in sede europea, ha avuto la sfrontatezza di parlare di “pugno duro” contro ong e migranti, annunciando multe, sequestri e tutto quell’armamentario di strumenti che i tribunali hanno già smontato quando lui era al Viminale. Il leader leghista continua così nel suo comportamento cocciuto, che somiglia a quello di chi, sotto l’effetto di alcool, vedendoci doppio, di fronte alla visione di due porte, continua a scegliere quella immaginaria, sbattendoci il grugno a ripetizione.

In un panorama simile, con un livello così misero, prendersela con la Francia è una trovata grottesca. Premettendo che anche i francesi hanno parecchio da farsi perdonare nel rapporto con il fenomeno migratorio, perché la memoria non è una luce che si spegne con un click, in questo caso la questione è però puramente politica, prima ancora che umanitaria. Certo, il rifiuto della Francia di accettare il ricollocamento di oltre 3000 rifugiati giunti in Italia, come risposta alla violazione inaccettabile delle regole da parte del governo italiano, è un gioco che alla fine si scarica sempre sulla pelle dei migranti. Ma in questo caso, la responsabilità è principalmente dell’ottusità italiana e non va dimenticato. Il fatto è essenzialmente politico: la concessione del porto di Tolone è e deve essere un caso eccezionale, in quanto il diritto e le convenzioni internazionali parlano, giustamente, di porto sicuro più vicino, in caso di soccorso in mare. E i più vicini sono Italia e Malta, non certo la Francia.

Pertanto, non si poteva far passare questo precedente, così come era necessario ricondurre il governo sovranista a rientrare in un ambito di diritto e all’interno di un accordo europeo. Accordo che, fatto salvo l’obbligo di salvataggio e di approdo (sia che si tratti di navi militari che di ong), prevede poi un meccanismo di ricollocamento siglato da 21 nazioni (18 dell’UE e 3 stati europei ma non aderenti all’UE). L’obiettivo è quello di sostenere i Paesi costieri, come Italia, Spagna, Grecia, Malta e Cipro, che, in base a questo accordo, ricevono un contributo di solidarietà. Cioè dei soldi. Il problema, però, è che l’Italia non fa il suo dovere, anzi forse non lo ha mai fatto, visto che da tempo, lascia che molti potenziali richiedenti asilo passino oltre i confini senza essere identificati, in modo che non scatti quanto stabilito dal Regolamento di Dublino. Quest’ultimo, infatti, prevede che i migranti, tranne rarissime circostanze quasi mai considerate, avanzino la richiesta d’asilo nel Paese in cui approdano, un elemento che costringe le nazioni di arrivo ad occuparsi delle gestione delle domande e della macchina burocratica necessaria.

Furbescamente, però, i governi italiani hanno sempre cercato di ridurre drasticamente il numero di richiedenti asilo, non registrando i migranti e favorendo il passaggio verso altri Paesi europei, come Francia, Germania, Svezia, ecc, più ambiti da chi arriva in Europa, in quanto più ricchi, con più opportunità di cittadinanza o spesso luoghi di residenza di familiari o amici. L’unica maniera di superare questo meccanismo è la riforma del Regolamento di Dublino. Tutte le proposte avanzate in tal senso, però, sono naufragate negli anni a causa proprio dei paesi guidati dai sovranisti, come quelli del Visegrad, ossia Polonia, Repubblica Ceca, Slovacchia e Ungheria, che non vogliono partecipare al ricollocamento. Paesi amici di Meloni e Salvini e della destra italiana, ma nemici dell’idea di sostenere l’Italia nella gestione del fenomeno migratorio. Piccola parentesi: fenomeno gestibile, perché i numeri sono lontanissimi da quella vergognosa retorica dell’invasione usata dalla destra e anche da alcuni minuscoli personaggi dell’opposizione (Calenda in primis).

Va inoltre ricordato che, nel 2017, fu anche la destra italiana, in quel caso rappresentata dalla Lega, ad esprimere voto contrario (con i vecchi 5 Stelle che si astennero) in parlamento europeo sul progetto di riforma del Regolamento di Dublino. Ecco perché il patriottismo delle forze sovraniste italiane è falso e nocivo. A Meloni e ai suoi alleati di governo in realtà non importa nulla di arrivare a una soluzione, quello che importa è solo mostrare i muscoli per dipingere una immagine fortemente identitaria che possa eccitare i propri elettori. Una messa in scena, quella del governo Meloni, sulla pelle di esseri umani che scappano per mille ragioni, attraversando l’inferno. Un inferno che, in certe zone dell’Africa, anche l’Italia, proprio quella del periodo storico tanto amato dai sovranisti al potere, ha contribuito a creare. Una squallida mostra di ipocrisia, dunque, che ora ha un bersaglio preciso, le ong. Ong che, a differenza di quanto sostiene con volgare bestialità il ministro Crosetto (yes man adatto a tutte le stagioni politiche), sono le testimoni della disumanità storica che tutti, Europa inclusa, stanno mettendo in atto nel Mediterraneo e in quella Libia con la quale abbiamo stretto accordi firmati con il sangue. E rinnovati da tutti, opposizioni incluse.

Massimiliano Perna -ilmegafono.org