Qualcuno pensa che il mondo si sia fermato. Che l’attenzione spasmodica e la paura per il Covid e la pandemia abbiano congelato tutto il resto. In effetti, se si ascolta o legge o guarda la narrazione mediatica e politica, è difficile pensare che non sia così. Difficile pensare che i problemi che occupavano le prime pagine, i talk show e persino i bar oggi esistano ancora. Al momento è solo il Covid ad attrarre la nostra attenzione. Perché ci condiziona la vita, ci tocca da vicino, lo sentiamo nell’ulteriore crisi che si installa su una crisi già pre-esistente, nella rinuncia a libertà di cui non apprezzavamo abbastanza il valore o nello sfilacciamento delle nostre relazioni quotidiane, oltre che nel terrore per i nostri cari e per la loro salute. Eppure, il mondo ci mostra costantemente la sua tenacia, ci sbatte in faccia la sua cruda realtà, che continua con le sue tragedie, gli orrori, la crudeltà umana.

Il mondo continua a girare mentre noi ci siamo impantanati nella nostra incapacità di guardare avanti e, in attesa che la tempesta passi, di combattere come sempre e nel frattempo lavorare per uscirne migliori. È lo specchio del nostro tempo, di un’epoca che non ha più spazio per i visionari, per chi affronta il presente pensando al futuro, a chi verrà dopo. Siamo una società fragile che non pianta più alberi se non quando è certa di poterli veder crescere e di poterne assaggiare i frutti. Si chiama egoismo, il contrario della generosità. O di quella solidarietà verso gli esseri umani che verranno, qualcosa che altre generazioni e altre epoche hanno tragicamente ed eroicamente sperimentato. Oggi, tranne le eccezioni che tengono fresco il sangue e vivo il cuore dell’umanità, questo non c’è. Siamo concentrati solo sul nostro tempo e su quello che ci può dare, sulle nostre paure e sulle nostre speranze individuali.

Ecco perché, di fronte alla narrazione, necessaria ma ossessiva, del Covid, ci lasciamo fagocitare, dimenticando in un attimo il resto. Già, il resto. Come ad esempio gli orrori che il popolo curdo continua a subire. La politica aggressiva della Turchia che, approfittando della situazione e di un’Europa debole, prova a imbastire una campagna di espansione nell’area mediorientale e nel Mediterraneo, con vista sulla Libia. La Turchia di Erdogan che prova a riaccendere la fiamma del fondamentalismo, del terrorismo che usa indegnamente l’Islam come pretesto per creare caos e mettere in atto una strategia di ritorno della paura. Che, come sempre, è funzionale a diversi attori. Un ritorno impetuoso, scioccante, che ovviamente ha già aizzato gli sciacalli, pronti a riportare in auge il tema della sicurezza legandola ai migranti, generalizzando per risvegliare lo stomaco della popolazione, la sua parte più lercia, in modo da differenziare un po’ di più le occasioni di consenso emotivo, in un momento nel quale il negazionismo sul Covid perde colpi e non riesce ad attecchire politicamente.

Ma la narrazione sulla pandemia non rende facile nemmeno queste strategie di distrazione, perché la fiammata tematica alternativa si spegne in fretta, sotto l’idrante dell’emergenza vitus. Persino i soliti noti, quelli che organizzano trasmissioni nelle quali ritorna la retorica razzista sui migranti che sbarcano e sull’equazione profugo-terrorista, si ritrovano con le loro armi spuntate dalla spasmodica fame di notizie sulla pandemia. Tutto è compresso, schiacciato dal Covid. Inclusa la questione Libia, che continua a generare orrori su orrori, nel silenzio e nell’inerzia di una comunità internazionale impegnata sul fronte sanitario. Senza andare troppo lontano, questa feroce cannibalizzazione del dibattito pubblico, ha avuto anche conseguenze su vicende interne e più locali, producendo l’effetto perverso di far passare in secondo piano scelte che, qualcuno, nelle regioni, sta attuando e che incideranno drammatiche sul futuro dei territori. Scelte che approfittano della distrazione generale e dell’assenza di reazioni diffuse che possano produrre il necessario dibattito per poterle fermare.

Come il caso della Sicilia e di una riforma dell’edilizia scandalosa che rischia di uccidere qualsiasi futuro sostenibile e di deturpare definitivamente le porzioni di bellezza finora sopravvissuta. Una legge che, se verrà approvata, permetterà di facilitare le sanatorie, di sanare anche le costruzioni abusive entro i 150 metri dal mare, di cementificare le coste e le aree verdi, consentendo anche a domande già bocciate di essere ripresentate e magari accolte con l’inganno del silenzio assenso. Una legge che rischia di essere un regalo all’illegalità, ai deturpatori, ai predoni del territorio. Va nella direzione opposta a quella verso la quale il mondo dovrebbe tendere, schernisce beffardamente qualsiasi logica di riduzione del consumo di suolo, di tutela delle aree verdi, di ripristino e di liberazione delle coste da un abusivismo antico che ne sta erodendo il profilo e la bellezza.

Davvero è incredibile come, in epoca di Covid, mentre tutti gli sforzi dovrebbero essere dedicati ad organizzare una sanità in condizioni disperate, il governo regionale si prodighi con tanta tenacia per far passare questa legge. Tutto nel clima generale di distrazione legata alla narrazione costante della pandemia. Una pandemia seria, grave, terribile che sta mettendo alla prova le economie degli Stati e i loro sistemi di welfare. Ma che rischia anche di far dimenticare che il mondo gira lo stesso, va avanti lo stesso con le sue distorsioni, e che ci sono altri temi che meriterebbero la stessa attenzione e la stessa urgenza.

Temi che il Covid sta infilando sotto una sabbia di silenzi che, purtroppo, convengono a chi, su questo clima di paura, ci marcia e ci costruisce affari d’oro, come fanno ad esempio mafie, multinazionali, aspiranti imperatori e artigiani dell’orrore. Dalla pandemia ne usciremo in qualche modo, ma quando ne saremo fuori, se non ricominciamo a occuparci anche delle altre questioni e se non pretenderemo che i governi e le istituzioni lo facciano, ci troveremo salvi ma fortemente provati, spaventati, feriti e in mezzo alla palude. Senza nemmeno un ramo al quale aggrapparci.

Massimiliano Perna -ilmegafono.org