È una violenza inaudita quella che squarcia le notti di Milano. Una violenza allarmante contro la quale non si riesce a trovare un antidoto efficace, nonostante i casi di cronaca degli ultimi anni ci abbiano raccontato di aggressioni brutali, risse spaventose, accoltellamenti, persino mutilazioni e omicidi. È l’orribile marchio di fabbrica delle cosiddette pandillas, ossia le gang di “latinos”, gruppi criminali composti principalmente da sudamericani in lotta tra loro per una supremazia folle su un territorio che comprende varie zone di Milano. Un fenomeno preoccupante che in Italia si fa notare da una decina di anni circa, in particolare nel capoluogo lombardo e a Genova.

Sono gang composte da giovani di età diversa, alcuni più maturi, altri nemmeno maggiorenni, delle vere e proprie associazioni a delinquere strutturate e spesso transnazionali. I loro metodi sono tanto feroci quanto vigliacchi: la loro rabbia, che gli studiosi del fenomeno attribuiscono in buona parte all’esclusione sociale (ma forse a volte è più un alibi che una certezza), si scatena contro chiunque abbia la sfortuna di incontrarli e di aizzare i loro istinti più violenti. Molto spesso si scatenano solo perché qualcuno di loro ha la necessità di dimostrare efferatezza per ottenere riconoscimento all’interno della banda o del territorio.

A volte le loro azioni sono semplicemente il frutto di prove con le quali i novizi devono dimostrare di essere pronti a entrare ufficialmente nella gang, al culmine di una iniziazione basata sul pestaggio o su forme ancora più bestiali. Qualsiasi sia la ragione, quando si muovono lasciano dietro di sé sangue e orrore. Tutti ricorderanno l’episodio terribile dell’agguato a colpi di machete contro il capotreno di Trenord, alla stazione di Villapizzone, che solo per l’eroico e pronto intervento di un collega non è culminato in omicidio, richiedendo però un’operazione delicata e lunga per evitare la perdita del braccio da parte della vittima.

In quel momento si è tornato a parlare di quella che di fatto è un’organizzazione criminale che, magari non sarà invischiata negli appalti o nei massimi sistemi, ma che di sicuro possiede una enorme pericolosità sociale, oltre a essere parte del mondo del traffico di stupefacenti. A quanto pare, gli affiliati, che oggi supererebbero le 2500 unità, non sono più unicamente latinos, ossia portoricani, salvadoregni, honduregni e così via, ma anche italiani, africani, asiatici. Sono diventati dei veri e propri clan compositi, con codici da onorare e con l’obiettivo di diventare i padroni unici del territorio in cui vivono. Una realtà che in altre nazioni, nelle periferie delle grandi città, è roba vecchia e conosciuta, mentre in Italia è relativamente giovane.

Nelle ultime settimane, però, Milano è stata tempestata da più azioni di violenza compiute da queste bande criminali. Nell’ultima ci è scappato il morto. Innocente. Un ragazzo di 18 anni, albanese, che avrebbe semplicemente difeso un suo amico sudamericano accusato dagli aggressori di essere appartenente a una banda rivale. Un metodo che viene usato spesso, a quanto sembra, da queste pandillas. Il giovane è stato accoltellato ed è morto dopo qualche giorno di agonia. Il nutrito gruppo dei suoi assassini (circa una quindicina), come mostrano le immagini di un video diffuso sui principali quotidiani, avrebbe assaltato il tram della linea 15 e tirato fuori i ragazzi individuati come bersaglio, picchiandoli e accanendosi poi sul giovane diciottenne, nel terrore generale.

È disarmante il senso di impotenza davanti a quelle immagini. È angosciante pensare che un mezzo pubblico sia così vulnerabile. A maggior ragione in un tempo in cui si blatera di sicurezza, si parla di rischio terrorismo e così via. I mezzi pubblici, soprattutto nelle ore notturne e nei weekend, sono davvero un luogo nel quale spesso chiunque può fare quel che crede, senza che vi sia un controllo di alcun genere. A Milano, accade spesso di assistere a risse dentro i tram o di trovare, soprattutto nei sedili più in fondo, gruppi di ragazzi che provocano, fumando ad esempio laddove sarebbe vietato, bevendo e aspettando solo uno sguardo insistito o anche involontario per scatenare l’inferno.

Accade spesso, tornando di notte, che in certe zone, soprattutto in prossimità di discoteche frequentate da latinos, ci siano sudamericani innocenti aggrediti da queste bande che ne frequentano i posti con il chiaro intento di mettere alla prova la loro capacità di violenza. Le forze dell’ordine fanno il loro lavoro e gli arresti in questi anni sono stati molti, con colpi molto duri nei confronti delle organizzazioni, ma è chiaro che c’è bisogno anche di altro. C’è bisogno di parlarne, di comprendere il fenomeno, di adeguare le soluzioni affinché possa essere ridimensionato.

C’è poi la necessità di assicurare un maggiore controllo quantomeno nei dintorni dei luoghi frequentati dalle band (che sono ben noti), c’è bisogno di un’azione sinergica per garantire che le strade, le piazze e soprattutto i mezzi pubblici non vengano trasformati in teatri di guerra e tragedie dove le vittime sono sempre innocenti finiti tra i pugni e le lame di gruppi numerosi di violenti vigliacchi. Qualcosa si deve pur fare, anche per evitare che l’idiozia leghista o dei tanti commentatori da tastiera, che hanno subito cavalcato la cosa sparando nel mucchio e chiedendo espulsioni di tutti, profughi compresi, o chiusura delle frontiere, trasformi una questione legata essenzialmente alla criminalità e alla gestione sociale delle periferie (che è rimasta carente in questi anni) in qualcos’altro che non c’entra affatto e che anzi è solo un modo per pompare altro odio e altra tensione ingiustificata.

Le notti di Milano dovrebbero essere notti di allegria, di spensieratezza o di solidarietà, come quella delle associazioni e dei volontari che vanno a prestare assistenza ai senza tetto. Le notti di violenza compiuta da bande non ci piacciono già nella finzione dei film americani, figuriamoci se possiamo accettarle nella vita reale di questa città.

Massimiliano Perna -ilmegafono.org