La storia ufficiale racconta che la fine del Far “West” viene ufficialmente dichiarata dall’Ufficio Statistiche degli Stati Uniti d’America nel 1890, ma la storia reale racconta un’altra verità. La vita di frontiera, quel bisogno mai sopito di disegnare un confine, una linea di demarcazione fra tutto quello che rimaneva da conquistare e quello che era stato conquistato, non è mai finita veramente. Quell’America a stelle e strisce, creata e costruita con una “colt” in una mano e la Bibbia nell’altra, diventata grande sulla pelle degli esclusi e degli emarginati, si spoglia ogni giorno delle tante maschere che ha saputo vendere al mondo e mostra con arroganza tutto il suo cinismo. La Corte suprema degli Stati Uniti d’America, dal settembre 1789, anno della sua fondazione, è la massima autorità della magistratura del Paese. Ad oggi è composta in maggioranza da giudici nominati da presidenti Repubblicani: sei dei nove giudici, infatti, sono stati nominati dalle presidenze Bush, padre e figlio, e dal presidente Trump.

Eppure, a differenza della Corte Costituzionale italiana, non può avere il controllo sulla costituzionalità delle leggi e questo significa, quindi, che le sue sentenze possono anche essere annullate, invalidate. Succede raramente, quasi mai, e forse è su questo “quasi mai” che l’attenzione dovrebbe concentrarsi maggiormente. Pochi giorni fa la Corte Suprema ha emesso una sentenza che, di fatto, ha cancellato il diritto all’aborto a livello nazionale per lasciare ai singoli Stati la libertà di gestire una scelta che invece spetterebbe solo alle donne, tutelate da una legge dello Stato. Una sentenza che ha lasciato un segno e che rappresenta un’offesa e una ferita alla dignità delle donne e a quel diritto all’autodeterminazione che loro stesse avevano conquistato con anni di lotte e di umiliazioni, un diritto che resisteva da oltre cinquant’anni: era il 1972, e il caso “Roe contro Wade” diventò sentenza: con il voto di sette giudici su nove, la Corte riconobbe il diritto delle donne alla loro libera volontà di interrompere la gravidanza.

Prima di quel giorno l’aborto era illegale nella maggior parte degli Stati Uniti e adesso, dal 24 giugno 2022, torna ad essere un atto clandestino. È un passo indietro non solo dal punto di vista giuridico, ma anche da un punto di vista storico e generazionale: diritti civili acquisiti dopo anni di lotte e mobilitazioni vengono cancellati con una decisione di un minuto. Quando la storia arretra sui diritti civili gli effetti ricadono sempre sulle classi sociali più deboli, e nel caso specifico le donne che pagheranno il prezzo maggiore saranno quelle più ai margini della società americana, quelle che non potranno permettersi i costi per sostenere un viaggio in quegli Stati dove l’aborto continuerà ad essere un diritto riconosciuto e consentito. La Corte Suprema ha motivato la sua decisione con una serie di documenti dove i presupposti ideologici prevalgono sulla giurisprudenza.

In molti Stati dell’America la decisione della Corte Suprema è stata accolta con un applauso: il Missouri e il Texas hanno subito fatta propria questa sentenza e annunciato che le strutture che non si adegueranno saranno considerate penalmente perseguibili. La decisone della Corte Suprema arriva dopo una campagna conservatrice e restauratrice che dura da anni e che coinvolge molti settori della politica americana. L’ex presidente, Donald Trump, non ha perso tempo nel mostrare tutta la sua gratitudine alla Corte Suprema che “ha seguito la Costituzione e la volontà di Dio”. Ma l’America, tutta l’America, può riconoscersi in questa sentenza della Corte Suprema? Esiste un’altra faccia dell’America e, se esiste, quale ruolo intende giocare? All’interno della stessa Corte ci sono tre voci fuori dal coro: sono le voci dei giudici Sonia Sotomayor, Elena Kagan e Stephen Breyer, che hanno votato.

Poi ci sono le proteste e le manifestazioni di quella parte di America che rifiuta questa sentenza, ci sono le voci e le dichiarazioni ufficiali di molti esponenti politici: il sindaco di New York, Eric Adams, ha ribadito che la città non farà propria la decisione della Corte. Resta una considerazione di fondo sulla fragilità, o inadeguatezza, del sistema giudiziario degli Stati Uniti che finisce inevitabilmente per mettere in discussione il concetto stesso di democrazia: quando un Paese di oltre 330 milioni di abitanti distribuiti su 50 Stati, che si estendono dall’Alaska alle Hawaii nell’Oceano Pacifico, affida a 9 giudici il compito di definire e limitare i diritti e la libertà dei suoi cittadini, molto più di qualcosa non torna. Certo, non sono quei giudici a scrivere le leggi, ma la Costituzione permette loro di limitarne e svilirne gli effetti, quindi di condizionare la vita di un intero Paese. Sul tavolo della Corte Suprema oggi non c’è solo il diritto delle donne alla libera scelta sull’aborto.

Pochi giorni prima la stessa Corte, e con lo stesso scarto di voti – 6 favorevoli e 3 contrari – ha cancellato una legge dello stato di New York che introduceva limiti più severi sul possesso delle armi. La decisione è stata motivata sostenendo che il “Secondo Emendamento” si applica ovunque, anche fuori dalla propria abitazione. Per quanto possa sembrare paradossale, è innegabile che per una grandissima parte dei cittadini americani questo principio è fondamentale e irrinunciabile. Una decisione, quella della Corte, che si pone in netto contrasto con la proposta di legge che il Senato sta approvando e che potrebbe diventare la prima legge davvero significativa degli Stati Uniti sul possesso e l’uso delle armi. Il dibattito, ma sarebbe meglio dire lo scontro, si è fatto sempre più acceso dopo le stragi che negli ultimi mesi hanno insanguinato l’America, ma se per la governatrice di New York, Kathy Hochul, la decisone della Corte rappresenta un “giorno buio”, per le lobby delle armi è invece un giorno di luce.

Wayne La Pierre è il vicepresidente della Nra (la National Rifle Association, la più grande organizzazione in difesa delle armi) e considera la decisione della Corte “una vittoria spartiacque per gli uomini buoni e le donne buone di tutta l’America ed è il risultato di una battaglia lunga decenni portata avanti dalla Nra, e il diritto alla difesa personale e della propria famiglia non si esaurisce in casa”. C’era una volta il West, con quel bisogno forte e violento di tracciare un confine e una linea di demarcazione fra il conquistato e quello che rimaneva da conquistare. Per tracciare quella linea e conquistare tutto quello che si voleva servivano motivazioni forti e, soprattutto, serviva la capacità di giustificare se stessi e i propri comportamenti. La storia americana non ha mai chiuso fino in fondo quel periodo, e di quella terra di frontiera restano ancora troppe tracce.

Sarebbe troppo facile vedere nella Corte Suprema l’unico limite di un Paese che non riesce o non vuole uscire da quel Far West dove la vita e la frontiera si affrontavano con una Bibbia e una colt. La Corte Suprema è solo uno di quei limiti, tutti gli altri sono impliciti in un’idea di società e di democrazia dove i diritti delle persone, tutte le persone indipendentemente dal colore della pelle e dal loro ceto sociale, sono tante volte solo un’ipotesi. Su questo l’America a stelle e strisce, un giorno, dovrà per forza guardarsi allo specchio e trovare il coraggio di cambiare e di uscire dal Far West. Si spera.

Maurizio Anelli -ilmegafono.org