Le recenti dichiarazioni del procuratore di Catanzaro, Nicola Gratteri, durante un’intervista televisiva su SkyTg24, hanno acceso i riflettori su una tematica troppo spesso taciuta eppure notevolmente importante: la diffusione del fenomeno mafioso in Europa. “L’Europa- ha dichiarato Gratteri – è una grande prateria dove le mafie possono pascolare”. Parole forti che sconfessano l’errata, seppur radicata, convinzione che quello mafioso sia un problema esclusivamente italiano, ma che non possono certo essere considerate una novità. Già dal gennaio del 1989, per esempio, in occasione del rapimento dell’ex primo ministro Paul Vander Boeynants, il Belgio si è rivelato essere caratterizzato dalla forte presenza di criminalità organizzata. In Belgio esiste un insediamento radicato di criminali albanesi, i cui clan criminali sono diventati una vera e propria mafia, la più attiva e pericolosa della nazione.

Come ha raccontato Emanuel Pietrobon su Inside Over (leggi qui), la mafia albanese in Belgio, nota come mafia Shqiptare, affonda i propri tentacoli, proprio come quella nostrana, nel traffico di sostanze stupefacenti, nella prostituzione e nell’immigrazione illegale; affari multimilionari per cui si rivela di fondamentale importanza il porto di Anversa che funge, inosservato, da vero e proprio crocevia delle mafie europee. Ed è proprio questa mancanza di attenzione da parte degli altri stati a facilitare oltremodo la diffusione europea del fenomeno mafioso.

“Gli altri Stati- ha spiegato, nel corso del proprio intervento televisivo, Gratteri- non vogliono ammettere il problema delle infiltrazioni mafiose. Vi è un rigetto, un rifiuto. Forse perché poi dovrebbero spiegare ai propri cittadini perché per 25 anni hanno negato il problema. Inoltre, dire che c’è la mafia scoraggerebbe gli investitori stranieri”. A tale inefficienza europea Gratteri ha contrapposto l’esperienza dell’Italia che, a suo modo di vedere, si dimostra all’avanguardia e ben attrezzata sia a livello normativo che investigativo. Ciò nonostante, il procuratore capo di Catanzaro ha ammesso che anche in Italia si potrebbe migliorare attraverso delle modifiche normative in grado di minare la “convenienza a delinquere”. “Quello che manca – ha concluso – è la volontà politica a intervenire perché non sia più conveniente delinquere”.

Non è la prima volta che Gratteri fa presente il pericoloso atteggiamento degli altri Stati europei nei confronti del dilagare delle mafie sul territorio. Pochi mesi fa, nel corso di un suo intervento ad un campus on line, aveva già spiegato quanto l’Europa, caratterizzata ad oggi da una unità monetaria ma da una notevole disomogeneità normativa, sia divenuta una inevitabile complice dell’espansione delle mafie. “C’è stata – fece notare Gratteri a quanti assistevano al suo intervento – una liberalizzazione dei processi di commercio e dello spostarsi dei cittadini europei ma conseguentemente non c’è stato un adeguamento normativo dei sistemi giudiziari europei. E proprio perché è più facile per le merci e per le persone spostarsi in Europa, per le mafie è ancora più facile integrarsi nei Paesi europei, quindi noi notiamo una maggiore presenza sul piano numerico di locali di ‘ndrangheta in diversi paesi europei rispetto a 20 anni fa”.

In quell’occasione Gratteri ha inquadrato tra i maggiori responsabili di questa diffusione incontrollata della criminalità organizzata il Parlamento europeo. “Come posso parlare di mafia a livello europeo e aprire un processo – ha spiegato – se non c’è una norma che mi dice che esiste una mafia e se non esiste il corrispondente normativo del 416 bis in Germania? Come si può mai dimostrare che c’è un reato di mafia?”. Obiezioni piuttosto comprensibili e condivisibili anche da non addetti ai lavori. Sarebbe forse il caso che, una volta per tutte, gli Stati membri e le istituzioni europee trovassero una linea d’intesa, una concreta collaborazione che, sulla scorta dell’esperienza italiana, di ciò che ha funzionato e di ciò che invece si è dimostrato errato o non efficace, portasse all’elaborazione di norme comuni e di comuni organi investigativi europei piuttosto che, come purtroppo talvolta avviene, all’indebolimento di quanto funziona sul territorio italiano.

Anna Serrapelle-il megafono.org