Nella notte tra il 9 ed il 10 dicembre scorso, Manfredonia, in provincia di Foggia, è stata teatro di un importante blitz che ha portato a sgominare quello che presumibilmente era un grande, deplorevole, meccanismo di sfruttamento del lavoro attraverso l’intermediazione illecita di caporali. L’attività investigativa, riferita a fatti accaduti tra luglio e ottobre 2020, ha preso spunto da una precedente inchiesta sul caporalato nel territorio foggiano, per l’esattezza l’inchiesta “Principi o caporali” dello scorso aprile. In questo nuovo filone di indagini, l’attività congiunta dei Carabinieri di Manfredonia e dei militari del Nucleo ispettorato del lavoro di Foggia ha portato ad individuare ben sedici presunti sfruttatori (a vario titolo e con diverse modalità), cinque dei quali sono stati tratti in arresto, anche se solo due sono stati tradotti in carcere, mentre agli altri tre è stata comminata la misura preventiva degli arresti domiciliari. Per i restanti undici indagati è stato invece predisposto l’obbligo di dimora o di firma.

Le indagini hanno inoltre permesso di individuare dieci aziende che sarebbero state coinvolte in questo distorto e criminale meccanismo di reclutamento di forza lavoro e che, in ragione di ciò, sono attualmente sottoposte a controllo giudiziario. Secondo quanto sarebbe emerso dalle indagini, il giro di affari, per un importo complessivo di circa 5 milioni di euro l’anno, era incentrato sullo sfruttamento di molti braccianti provenienti dall’Africa ed alloggiati presso la baraccopoli di Borgo Mezzanone, in cui, considerando l’elevatissimo numero di persone che vi trovano riparo, imperversano inevitabilmente attività illegali a danno dei migranti e condizioni igienico-sanitarie seriamente pregiudizievoli.

Le informazioni ottenute dai militari, con un’intensa attività investigativa, vedrebbero il gambiano Bakary Saidy e il senegalese Kalifa Bayo,  i due cittadini tratti in arresto durante il blitz, occuparsi del reclutamento di manodopera agricola tra gli abitanti della baraccopoli, dove anche loro vivevano, del trasporto obbligatorio dei braccianti sino ai campi (scomodo e pericoloso, come si evince da talune intercettazioni e come racconta la storia degli incidenti drammatici proprio nel foggiano) e della loro sorveglianza durante l’orario lavorativo. Uno dei due avrebbe inoltre fornito “consigli” utili sull’atteggiamento da assumere nell’ipotesi di controlli. Sembrerebbe inoltre che i due caporali pretendessero, in ragione dei “servizi offerti”, 5 euro da ciascun bracciante reclutato, come “onorario”, inaccettabile anche in considerazione delle mostruose condizioni di lavoro/schiavitù a cui condannavano i lavoratori.

Tra gli indagati spicca, inevitabilmente, il nome di Rosalba Livrerio Bisceglia, moglie del capo Dipartimento Libertà civili ed immigrazione del Viminale, Michele di Bari, in quanto socia amministratrice di una delle aziende agricole coinvolte dal filone di indagini. Secondo l’ordinanza che ha predisposto le misure cautelari, Rosalba Bisceglia, che per oltre un mese si sarebbe avvalsa in seno alla propria azienda di lavoratori reclutati da Saidy, era “consapevole delle modalità delle condotte di reclutamento e sfruttamento, in quanto si confrontava direttamente con il caporale, si preoccupava di formalizzare le buste paga e adottava tutta una serie di accorgimenti”. In seguito a tali vicende giudiziarie il marito, Michele Di Bari, si è schierato con la moglie, difendendone l’integrità: “Mia moglie, insieme a me – ha dichiarato Di Bari – nutre completa fiducia nella magistratura ed è certa della sua totale estraneità ai fatti contestati”.

Nonostante queste dichiarazioni di estraneità ai fatti, Di Bari ha presentato le proprie dimissioni dall’incarico di capo Dipartimento per le libertà civili e per l’immigrazione al ministro Lamorgese, che le ha prontamente accettate. Dimissioni dovute, e forse addirittura tardive, laddove fosse confermata l’effettiva condotta criminosa della moglie, poiché sarebbe grave (e richiamerebbe responsabilità dei ministri che hanno nominato e di quelli che hanno confermato a quel ruolo Di Bari) che a garantire che fossero rispettate le libertà civili ed i diritti degli immigrati fosse proprio il marito di una donna che li avrebbe violati sistematicamente e quotidianamente.

 Anna Serrapelle- ilmegafono.org