Una spiaggia popolata da bagnanti e turisti che agitano le mani e i corpi in una danza di gruppo sulle note di successi italiani del passato. Di fronte, a poche miglia, una nave ferma in mezzo all’azzurro di un mare increspato, a sovrastare la linea dell’orizzonte oltre il quale si vivono le tragedie più atroci. Estremo sud Italia, anno 2018. Pozzallo, città di approdo nella quale Salvini si è recato poche settimane fa a promettere che non ci saranno più sbarchi. La città nella quale il sindaco ha poi chiesto rispettosamente a Salvini di far approdare quella nave, un cargo danese, con a bordo 110 migranti costretti ad attendere per giorni, sistemati in emergenza sul ponte, anche sotto una pioggia torrenziale.

Una fotografia emblematica di una realtà paradossale. La disperazione e la gioia, l’umanità e l’indifferenza, si sono trovate faccia a faccia, senza parlarsi. Qualcuno fa notare che quelle persone sul bagnasciuga forse non sapevano cosa fosse quella nave, visto che in un luogo come Pozzallo di cargo ne passano tanti ogni giorno. Forse non sapevano che, oltre ai container, trasportasse esseri umani salvati dal naufragio. Teoricamente potrebbe essere plausibile, ma fino a un certo punto. Non è detto che magari tutti fossero informati, ma evitiamo di commettere l’errore di dimenticare che viviamo il tempo della ossessione politica e mediatica sul tema immigrazione, che siamo nell’epoca in cui tutti parlano, scrivono, blaterano su questo argomento, tutti si informano in tv o sul web o sui giornali.

Non è più il momento degli alibi, delle scuse. Quella gente, o gran parte di essa, sapeva. Anche perché la nave, particolare non irrilevante, era ferma, non di passaggio, era in attesa nella rada e dunque riconoscibile, dal momento che sui telegiornali e ovunque se n’è parlato.

La verità è che a una buona fetta di cittadinanza, da Pozzallo ad Aosta, non importa nulla dei migranti e del loro destino. L’indifferenza è la chiave di lettura dei giorni nostri. La stessa che porta a chiudere le porte e i porti, chiedendo ad altri di occuparsi dei naufraghi in viaggio, applaudendo in vario modo la posizione di Salvini e Toninelli e fregandosene delle condizioni dei migranti, della loro stanchezza, dell’orrore vissuto in quella Libia di cui siamo complici consapevoli. La nostra indifferenza è diventata crudeltà, che si trasforma in odio, imbeccata da un ministro e da un governo che conoscono benissimo la stupidità rabbiosa dei propri elettori e allora la saziano con parole, slogan, azioni dimostrative che partoriscono un consenso sempre più granitico.

E allora vai per strada, non solo sulla spiaggia, e senti ovunque, in ogni città, gente che dice cose gravissime e inaccettabili su chi bussa alle nostre frontiere. Vai sul web e leggi parole pesanti, da codice penale. Ecco perché non importa affatto che una nave di fronte a noi sia bloccata dall’ottusità politica di chi fa propaganda sulla pelle dei disperati e che quei disperati siano lì, a cielo aperto, in attesa da ore e giorni, a guardare quella riva e quella terra con gli ultimi scampoli di speranza e con le poche forze rimaste.

La musica scorre sul bagnasciuga, le note di Gente di mare vengono mixate e lasciano spazio al Ballo di Simone. Il divertimento scorre sulle braccia sollevate e i bacini che si muovono, sulla pelle bianca che si espone al sole nel desiderio di diventare più scura, più nera, per farci sembrare più belli, più affascinanti. Al di là della consapevolezza o meno della gente sulla riva, comunque, questa è un’immagine simbolica ed eloquente, facilmente proiettabile in larga scala.

Chissà se tutti avrebbero continuato a ballare se quella nave fosse stata più vicina e se fosse stata visibile la schiera di esseri umani a bordo, con la pelle nera corrosa dalla disidratazione e dalle ustioni da carburante di un viaggio terminato con il salvataggio da parte della nave danese. Chissà se c’è davvero bisogno di vederla in faccia la sofferenza per accorgersi di quanto sia fuori luogo il nostro disinteresse e di quanto sia assolutamente secondario e stupido il nostro divertimento. Non possiamo averne certezza, anche se alcuni precedenti, in altre zone di approdo, hanno lasciato ricordi pesanti, come i bagnanti impassibili e capaci di continuare la propria giornata, indifferenti, a pochi metri dai cadaveri in spiaggia, ma è altrettanto vero che questo è accaduto più volte anche quando ad annegare erano dei bagnanti italiani.

Possiamo solo sperare che si sarebbe potuta ripetere la meravigliosa catena umana che accolse i profughi nel 2013 nei pressi di Pachino (Siracusa). Il fatto, però, è che oggi abbiamo molta meno speranza di vedere simili gesti di solidarietà in un Paese che mostra apprezzamento per la crudeltà del ministro Salvini e del suo governo. Un Paese nel quale si susseguono episodi gravissimi di razzismo, intolleranza, violenza nei confronti soprattutto di chi è straniero, ha la pelle nera e viene dai paesi più poveri.

Non si vuole qui generalizzare, non si vuole affermare tout court che tutti i presenti su quella spiaggia fossero razzisti disumani. Non vogliamo prestarci al gioco della generalizzazione e della banalizzazione che è propria della sottocultura politica italiana attuale, ma non possiamo negare a priori che non sapessero cosa fosse quella nave. E dovremmo cominciare a essere meno comprensivi, a dare meno alibi, perché la storia ci ha insegnato che durante fascismo e nazismo l’alibi del “non sapevamo” era una enorme bugia. Lo sarebbe ancora più oggi, con la grande massa di informazione che viaggia per il globo in pochi secondi e raggiunge qualsiasi luogo. Oggi tutti sanno cosa sta facendo il governo Lega-5 Stelle. Nessuno potrà dire di non sapere.

Riguardo al caso Pozzallo, inoltre, va detto che molto probabilmente qualcuno sapeva e se non ha mosso un dito e non ha avuto il coraggio di andare a dire a quelle persone che non era rispettoso ballare e fregarsene del dolore che si consumava di fronte a loro, allora è stato in qualche modo ugualmente colpevole. Perché è da questo che bisogna partire per fermare la crudeltà del menefreghismo popolare. Dal non tacere, dal prendere la parola e prendere posizione, anche a rischio di sentirsi riempire di insulti. Non basta dire io non ballavo. Bisogna agire, intervenire. Perché siamo tutti coinvolti. Anche quando ci crediamo assolti.

Massimiliano Perna -ilmegafono.org