Non è facile guardare questo Paese in faccia, ma a volte è necessario farlo. Basta davvero poco. È sufficiente, ad esempio, ascoltare i discorsi comuni: quelli del cittadino della strada o quelli sui social oppure, armandosi di pazienza e sopportazione, quelli dei commentatori degli articoli pubblicati sui quotidiani online. Nessuno può sapere se siano maggioranze, ma di certo possono fornirci qualche indicazione di massima. In questi giorni, ci sono state alcune vicende che hanno fatto discutere. Non prendiamo in considerazione la cronaca, perché lì tutto sarebbe inquinato dalle scorie di chi commenta un omicidio come se fosse una gara di calcio, con tanto di insulti razzisti e inviti alla violenza. Prendiamo piuttosto in esame la reazione davanti a questioni di natura più politica e sociale.

Del ministro Poletti e della sua frase sul calcetto ormai si è detto di tutto e l’ironia ci è anche venuta in soccorso, malgrado anche in questo non è mancato qualche malato di “crucianismo” (ossia l’ostentata voglia di mostrarsi moralmente fuori dal coro, per poi sguazzarci miseramente dentro) pronto a sminuire la cosa dicendo che alla fine le parole del ministro sono vere, che in Italia le cose vanno così. Come se ciò fosse totalmente normale, come se il fatto che il merito conti meno delle amicizie, delle conoscenze o degli zerbini si possa tranquillamente trasformare in una sorta di consiglio da dare a dei ragazzi, invece che in una denuncia su un sistema che non funziona e marcisce.

Il tema “calcetto” ha inoltre messo un po’ in secondo piano la vicenda di un altro ministro, Marianna Madia, e del suo presunto plagio di una tesi di dottorato. Anche qui, commenti divisi tra indignati e assuefatti. Anzi, peggio ancora: il web si è popolato dei classici e irritanti moralisti alla rovescia, quelli che ti sbattono in faccia un bel “perché? Voi non avete mai copiato?”. Un po’ come quelli che, quando si scopre che Tizio o Caio occupano un posto per via di una raccomandazione, ti dicono “e vabbè, ma lo fanno tutti!” oppure “con questa crisi d’altra parte, chi non lo farebbe?”.

Come se in questo Paese fossimo tutti disposti a farci comprare, a farci scrivere un prezzo sulla schiena per ottenere qualcosa. Come se le tante ribellioni degli uomini onesti, la rinuncia alle convenienze a vantaggio della propria libertà fossero roba da vecchi idealisti o cretini. Perché è così che ti chiamano quando rinunci a un vantaggio o a un regalo che ti offrono in cambio di qualcosa. Ne ho letti tanti commenti di questo genere, pronti a sfidarti sulla tua onestà, sul tuo non essere uguale agli altri. Lo fanno con quell’atteggiamento arrogante di chi, nel momento stesso in cui ti domanda se tu non lo abbia già fatto o non lo avresti fatto, smette di ascoltarti.

Ha già emesso la sentenza. Ha la certezza che tu sei come gli altri e come te altri ancora. In una visione nichilista della società italiana come di una grande casa dove ogni mattone è stato costruito con calcestruzzo depotenziato. Secondo questa visione nessuno è immune, non esistono funzionari, amministratori, sindaci, giornalisti, parroci, imprenditori, cittadini completamente onesti, non esistono lavoratori assunti per il loro curriculum e con una normale selezione. Nulla. Tutto è marcio. Per loro quindi, come reazione e conclusione finale, è inutile lottare, è molto meglio adeguarsi. Te lo spiattellano in faccia con quel sorrisino ebete di chi pensa di saperne di più e, alle tue perplessità su una logica così nociva, risponde con la voce alta e perentoria del “crucianista”. Nessun dialogo. Solo un atteggiamento fastidiosamente compassionevole davanti alla tua indignazione.

Una cosa in qualche modo simile accade anche sui temi ambientali. Il Tap, ad esempio. In questi giorni ho letto commenti di gente che probabilmente non ha mai visto nemmeno uno studio, una carta, un documento sul gasdotto in Salento. Non ho sentito critiche argomentate sui No Tap, magari sull’impronta da dare alla protesta, sul fatto che il problema non siano solo gli ulivi ma piuttosto la più che discutibile utilità dell’opera. Ho letto solo accuse generiche, con la solita cantilena del “siete il popolo dei No”, “non volete andare avanti”, “siete contro il progresso”, e così via. Nei commenti c’era molta più retorica veterorenziana che argomenti.

Ma l’accusa più incredibile rivolta ai cittadini che protestano contro il Tap è stata: “Dove eravate quando il Salento veniva deturpato dall’edilizia selvaggia che ha eroso le coste?”. Mi viene da rispondere che probabilmente erano dove sono adesso, per strada, a manifestare inascoltati contro chi faceva passare l’idea che in nome del turismo ricettivo e delle villette al mare si possano divorare chilometri di costa. E probabilmente, chi oggi lancia accuse contro chi si mobilita, a quei tempi era sempre seduto su una poltrona a sfogliare un giornale e a criticare chi protestava.

Insomma, questa è l’epoca dell’assuefazione arrogante. Si accetta tutto e si guarda con supponenza, o perfino con fastidio rabbioso, chi ancora prova un briciolo di indignazione. Questa è l’Italia che circonda il nostro tempo. Un’Italia che non prende le questioni sul serio e penzola tra assuefatti, crucianisti e indignati. Tra queste tre categorie, ce ne sono due che vivono meglio, dormono meglio, mangiano meglio. Pesano di più, ma pensano di meno. Beati loro?

Massimiliano Perna -ilmegafono.org