C’è una sorta di contrappasso dantesco nell’arrivo di Mario Draghi. Siamo venuti fuori da una serie di governi social, rigurgitati dal web, incarnati nelle gole urlanti sui balconi dei palazzi, alimentati dagli umori e dalle variabili quotidiane, capaci di affermarsi e di negarsi allo stesso tempo, di varare un provvedimento duro sorridendo ai flash della sala stampa e di affossarlo mesi dopo coi musi lunghi dei salvatori dell’est. Sotto gli stessi flash. È vero, è necessario mettere da parte l’ideologia pura in una fase di emergenza globale, osservare un governo presente più che sperarne uno futuro; è necessario spogliare la politica dalle vesti romantiche per metterle addosso abiti più spessi.  E allora abbiamo assistito a dirette sul web e abbiamo atteso tweet di conferma o di smentita, con la consapevolezza che tutto fosse utile per un bene superiore. Ma sapevamo che con la politica come l’abbiamo conosciuta anni fa avevamo smesso da tempo di avere rapporti che non fossero legati ai ricordi.

Abbiamo gettato l’ancora nella tempesta sperando di non venire travolti dalle onde, e le onde non ci hanno travolto, ma sapevamo che non c’era stabilità e abbiamo cercato di trattenere i rigurgiti ad ogni sussulto del mare. Lo sapevamo. Lo sapevamo dal Papeete, lo sapevamo da quel balcone che voleva certificare la sconfitta della povertà. Era tutto instabile e abbiamo abusato del pensiero di Bauman per trovare una logica scientifica in quella follia, perché è pacifico che l’incertezza è l’unica certezza, che la bulimia da post o da tweet sovrasta la necessità di un sano equilibrio. È pacifico che l’ideologia si è fusa, liquefatta a tal punto da confondere le sponde, da disorientarci di fronte ai concetti di destra e sinistra.

Tutto questo, questo vociare da mercato cittadino, questo continuo accapigliarsi per trattare al banco tra sogni e bisogni è cresciuto, spinto dal web, continuamente, alimentato dalla necessità di apparire, al punto che la caduta del reggente del governo è coincisa con la sublimazione del suo portavoce, che ha di fatto rotto l’equilibrio logico che lo avrebbe voluto dietro le quinte, e questo per prendersi una scena che per il ruolo che ricopre non avrebbe mai dovuto nemmeno valutare. Ma che per come sono andate le cose era perfettamente logico che si accaparrasse. Assiso su un trono su un fondo cupo.

E adesso il contrappasso, soprattutto per chi ambiva ai palazzi spinto dal web che ha alimentato. Arriva un uomo estraneo al mondo che abbiamo vissuto con noncuranza fino a qualche settimana fa: Mario Draghi non esiste sui social, e questo i social lo sottolineano ogni giorno. Perché lo vogliono. È vero, si dovrà misurare col web, ma è plausibile che ne rimarrà fisicamente fuori. Leggeremo le sue parole, osserveremo i video che lo riprendono, ma difficilmente lo vedremo reggere un cellulare per comunicare con una platea fuori dagli ambienti istituzionali. Certo, questo non significa che sia migliore di altri, o che sia peggiore. Ma significa che è diverso. E che non si è formato sul gradimento del web. Vuoi o non vuoi questo stato di cose ci offre delle garanzie: sappiamo che non farà la spesa al supermercato coi fotografi che lo ritraggono per far raccontare ai giornali che la gente lo ama e sappiamo che non si affaccerà a un balcone per raccogliere gli applausi che celebrano un suo provvedimento.

Quali siano le prospettive non siamo in grado di vederlo: non siamo mai usciti in modo così netto da una fase così tanto appariscente, da una fase che ha visto coinvolto il web con piglio quasi istituzionale. Il web adesso è rimasto fuori, con buona pace delle piattaforme di votanti. Sappiamo che alle consultazioni i consultati sono entrati all’appuntamento col premier incaricato indossando una faccia inquieta e uscendo col volto quasi disteso, spostando l’orientamento iniziale il più delle volte verso il sì. Il che non vuole dire granché, ma è l’unico elemento sul quale possiamo basare una prospettiva: Mario Draghi è capace di determinare le scelte senza aver offerto le sue idee alle platee per carpirne gli umori. Altrimenti avremmo osservato una determinazione diversa dei vari rappresentanti dei partiti prima che lo incontrassero. Loro non sapevano. Mi piace pensare che prima di incontrarlo fossero tesi come a un esame universitario.

Adesso il quadro politico è ancora più liquido, frammentato, e proprio sul versante politico non abbiamo alcuna possibilità di indovinare le direzioni che verranno prese. Questo è enormemente sconfortante, soprattutto se guardiamo indietro e ci lasciamo invadere dalla nostalgia per gli statisti che abbiamo ammirato. Ma sappiamo che un modo per rimettere insieme i pezzi può essere quello di tirare fuori l’istituzione dalle arene, dai social, dal web. Permetterle di pensare senza trovarsi in mezzo alle urla delle masse. Se sui motori di ricerca si digita “portavoce Mario Draghi” non appaiono ancora nomi, se non ipotesi venute fuori dalle necessità di dare risposte. E questo, vivaddio, è un piccolo passo per l’uomo.

Seba Ambra -ilmegafono.org