La mafia al nord continua a fare affari, a lucrare e ad infiltrarsi tra le maglie della pubblica amministrazione in un modo così semplice da sorprendere persino gli inquirenti e la politica locale. L’abilità mafiosa nel trarre profitto da operazioni illecite, ovunque essa si trovi (spesso il più lontano possibile dai luoghi d’origine), evidenzia non solo la capacità della criminalità di sfruttare il sistema politico ed economico, ma anche una preoccupante tendenza da parte dei colletti bianchi “autoctoni” a prestarsi alle pratiche mafiose che minano il bene comune. La scorsa settimana, le forze dell’ordine della provincia di Verona hanno realizzato un’operazione, denominata “Isola Scaligera”, che ha visto finire nel libro degli indagati nomi di primissimo livello. Vediamo nello specifico di cosa si tratta.

Dalle intercettazioni realizzate nel corso degli ultimi anni, gli inquirenti avrebbero scoperto un giro d’affari illecito che coinvolgerebbe la ‘ndrina degli Arena-Nicoscia di Isola Capo Rizzuto (KR) e alcuni dirigenti dell’Amia, l’azienda multiservizi che gestisce i rifiuti di Verona e provincia. Nello specifico, il clan con a capo il boss Antonio Giardino detto “Totareddu” si sarebbe servito dell’avvocato Nicola Toffanin, affidandogli “compiti di pianificazione ed individuazione delle azioni delittuose da perpetrare”. Azioni che, stando a quanto emerso dalle carte dell’inchiesta, andavano dal riciclaggio all’estorsione, ma anche tentata turbativa d’asta e molto altro. Ed è proprio per quest’ultima accusa che Toffanin si trova adesso in carcere. Le intercettazioni, infatti, hanno rivelato come lo stesso avrebbe corrotto l’allora presidente dell’Amia, Andrea Miglioranzi, affinché realizzasse dei corsi antincendio “fantasma”.

In questo modo, la gara sulla fornitura dei corsi sarebbe stata “guidata” in favore del centro studi Enrico Fermi di Verona e del direttore Francesco Vallone che, sempre secondo gli inquirenti, avrebbe “permesso all’associazione mafiosa di far conseguire titoli di studio a numerosi sodali al fine di accrescere la loro capacità affaristica e di inserimento nel sistema economico veronese”. Il gip di Verona non ha dubbi: “Le indagini hanno fornito adeguata prova che Vallone e Toffanin hanno pagato del denaro per potersi aggiudicare la gestione dei corsi di formazione per conto di Amia spa” e Miglioranzi sarebbe proprio uno di quelli che non avrebbe opposto resistenza, facendosi così corrompere per poche migliaia di euro.

Ma il terremoto giudiziario non sembra finire qui. Alle riunioni tra Toffanin, Vallone e Miglioranzi avrebbe partecipato anche il direttore dell’azienda, Enrico Cozzolotto, per cui, bisogna precisare, non vi è l’accusa di corruzione in quanto non avrebbe incassato alcuna somma di denaro. Infine, nel registro degli indagati è spuntato persino il nome dell’ex sindaco di Verona, Flavio Tosi, accusato di peculato. Insomma, quel che è accaduto nella scorsa settimana in Veneto fornisce un’altra prova, l’ennesima, dell’esistenza e del radicamento della mafia anche nel Nord Italia. Di questo, tra l’altro, ne è convinto Mirco Frapporti, Coordinatore provinciale di Avviso Pubblico e consigliere comunale di Fumane (VR): “L’operazione conferma quanto da tempo sostengono gli apparati investigativi, la magistratura e la Commissione parlamentare Antimafia”, ovvero che “nella nostra provincia e in Veneto le mafie si sono radicate, corrompendo ed investendo ingenti capitali nel nostro sistema economico”.

“Tutto questo –  ha aggiunto Frapporti – “ è stato possibile grazie ai servizi e alla complicità fornita loro da alcuni liberi professionisti, esponenti del mondo bancario ed imprenditoriale”. Ed è proprio su questo punto che bisognerebbe prestare maggiormente attenzione. Per anni si è assistito ad attacchi e dichiarazioni di diversi politici del Nord (in particolare di un determinato partito politico, ma non solo) nei confronti dei  meridionali, del Sud, considerato “palla al piede” dell’Italia, con la solita retorica della mafia che esiste solo da Roma in giù e così via. Verona e i veronesi hanno fatto della propria onestà e del proprio immancabile rigore un vanto tale da far passare l’idea che da loro certe cose non esistono o, al massimo, se esistono, sono strettamente legate a personaggi del Sud.

Da quest’ultima inchiesta (ma in realtà la lista sarebbe piuttosto lunga) emerge però un dato completamente diverso: sono proprio i locali, gli autoctoni a cercare il profitto ad ogni costo, pur se in collaborazione con ambienti criminali. Sono panetti di burro nei quali le lame della mafia entrano senza trovare resistenza, perché manca una vera coscienza antimafiosa, che al Sud invece è forte e vitale da anni, Anche quell’aspetto tipicamente associato al popolo del Sud, considerato omertoso e corruttibile, pare non manchi nemmeno al Nord, quando c’è da incassare denaro illecito.

Lungi da noi fare discriminazione e futili confronti tra popoli di un’unica nazione, crediamo però sia doveroso ribadire che la corruzione e la criminalità organizzata non sono affatto un problema di una specifica area, bensì del Paese intero. E se non si prenderà coscienza di ciò, non si farà mai giustizia e non si riuscirò mai a combattere davvero uno dei mali più gravi della nostra nazione.

Giovanni Dato -ilmegafono.org