Il cantante neomelodico catanese, Vincenzo “Niko” Pandetta, torna alla ribalta con un’altra delle sue uscite per niente felici e che fanno riflettere (qualora ce ne fosse bisogno) sul valore reale di certi personaggi. Tralasciando la difficoltà che si prova nel definirlo un “cantante” (il rispetto va a tutti coloro che nella musica e nell’arte ci credono davvero), questa volta vogliamo concentrarci su quel che Pandetta rappresenta nel mondo della musica neomelodica, ma soprattutto nella realtà dei sobborghi e delle periferie di Catania e più in generale delle città del Sud. Pandetta non è certamente il primo dei cantanti neomelodici che si fanno riconoscere per una evidente vicinanza al mondo mafioso: la lista di “artisti” che fanno vanto dell’onore e del rispetto, concetti storpiati dalle mafie, è infatti infinita e non centrerebbe la questione sulla quale vogliamo riflettere.

A dispetto degli altri, però, il giovane catanese è sicuramente uno di quelli che più si espone al pubblico: vuoi per la recente comparsa in tv nel corso del programma “Realiti” condotto da Enrico Lucci, vuoi per l’uso spropositato (e diremmo increscioso) dei social, mezzi usati soprattutto per rivolgere minacce e intimidazioni a giornalisti e “nemici” vari (a tal proposito, lo stesso è stato citato in giudizio dalla Procura di Catania proprio per delle minacce rivolte a delle giornaliste della testata online Meridionews). Oltre ad esprimere parole di gratitudine e amore per l’ingombrante zio, ossia Salvatore “Turi” Cappello, ergastolano al 41bis e spietato boss dell’omonimo clan catanese.

Ultimamente, poi, nel corso di un’intervista a telecamere spente realizzata dal giornalista di “Non è l’Arena”, Danilo Lupo, lo stesso si sarebbe vantato di aver scontato diversi anni di carcere per “errori di gioventù” (spaccio e consumo di droga), ma soprattutto avrebbe affermato “che la mafia non esiste”. Che tale affermazione venga pronunciata dal nipote del boss Cappello, fa piuttosto riflettere: è chiaro che quella di Pandetta non sia una frase detta per caso, ma sia provocatoria e sprezzante, quasi a voler dimostrare una certa superiorità (di che tipo, poi?) nei confronti del giornalista. Il problema, però, è di tipo culturale e sociale: Pandetta sa benissimo che la mafia esiste eccome, ma che cosa si può dire del suo seguito? Che effetto può avere una figura del genere nei confronti delle migliaia di followers (la maggior parte dei quali ragazzini) che impazzano sulla rete?

Il pericolo, infatti, è che molti possano prendere spunto dal cantante e imitare (non solo musicalmente) il loro beniamino. Un personaggio, ricordiamolo, che è stato condannato a 6 anni per spaccio, che non ha paura di minacciare pubblicamente dei giornalisti e che in televisione ha il coraggio di definire “sbagliate” certe scelte di vita come quelle di Falcone e Borsellino.

Insomma, se c’è un modo per frenare questo movimento musical-criminale, uno dei più potenti mezzi può sicuramente essere il boicottaggio. Esempi come quelli dello scorso anno di Palazzolo Acreide, quando a Pandetta venne impedito di esibirsi in piazza, fanno ben sperare e soprattutto devono essere presi come esempio per eventuali casi futuri. Pandetta non sarà certo un criminale, ma sicuramente è espressione di una sottocultura che con il crimine va a braccetto. La criminalità, si sa, si affida anche a mezzi potentissimi e di facile reperibilità come può essere la musica. Soprattutto un certo tipo di musica che racconta un sottobosco nel quale l’eroe è il parente carcerato e non chi lo incarcera.

Giovanni Dato -ilmegafono.org