La barriera corallina sta morendo. Greenpeace lancia un allarme che nasce dalla rilevazione del sesto episodio (in pochi anni) di sbiancamento di massa della Grande Barriera Corallina australiana. Ma cosa significa? I famosi coralli arancioni, gialli e rossi – onnipresenti nel nostro immaginario – sono prodotti da un’alga unicellulare nominata dagli scienziati come “zooxantelle”. Questa alga non solo produce gli splendidi colori che vediamo nei fondali, ma rappresenta anche un’importante fonte di energia per i coralli, poiché ne permette la fotosintesi e la riproduzione. Essa, però, è estremamente sensibile agli agenti esterni e il continuo innalzamento delle temperature degli oceani fa sì che muoia perdendo la pigmentazione e sbiancando queste innocue e splendide creature.

Greenpeace ha documentato lo sbiancamento con foto e riprese: dopo i dati preoccupanti degli scorsi anni (tra il 1995 e il 2017, metà dei coralli della barriera sono spariti), altri coralli sono perduti per sempre e migliaia di specie di pesci, tartarughe marine, balene, delfini e gli stessi coralli sono a rischio per l’alterazione del loro habitat. Il cambiamento climatico sta, dunque, portando all’innalzamento sia della temperatura che dell’acidità dei mari e degli oceani, causando uno scenario preoccupante per il nostro futuro. Per questo motivo, l’UNESCO ha raccomandato di inserire la Grande Barriera Corallina nell’elenco dei Siti in Pericolo, riconoscendo il cambiamento climatico come la minaccia principale per questo scrigno di biodiversità.

Ma l’Australia ha fatto una forte lobby politica ed è riuscita, temporaneamente, a bloccare tutto. Purtroppo, dal 1997, anno in cui l’Australia ha osteggiato gli impegni internazionali sul clima (rischiando di far fallire il Protocollo di Kyoto) poco è cambiato: il Paese continua a finanziare centrali elettriche a carbone, e all’ultima COP di Glasgow ha assunto impegni insufficienti in termini di riduzione delle emissioni di CO2. Il governo australiano si sta limitando a stanziare fondi per rimediare ai danni subiti dai coralli, ma non agisce sulla causa principale della distruzione in corso: i cambiamenti climatici, che in Australia si stanno manifestando con eventi sempre più estremi, dagli incendi allo sbiancamento dei coralli.

Dal dicembre 2021, l’Italia detiene la vicepresidenza del Comitato UNESCO dei Siti Patrimonio dell’Umanità, che potrà decidere le sorti della barriera corallina. Per questo motivo Greenpeace ha lanciato una petizione per chiedere al governo italiano, in particolare al ministro degli Esteri, Luigi Di Maio, di prendere una posizione decisa per progettare un intervento che protegga al meglio questo patrimonio unico del Pianeta. Se, come noi, avete a cuore le sorti delle future generazioni, firmate la petizione. Tutti insieme proviamo a far sentire la nostra voce.

Per firmare la petizione di Greenpeace firma qui

Sarah Campisi -ilmegafono.org