Ad una prima lettura della sentenza pronunciata dal Tribunale di Assise d’Appello di Bologna, che riduce la pena a Michele Castaldo, reo confesso dell’omicidio di Olga Matei (cittadina moldava, questo forse è il caso di sottolinearlo bene), avvenuto due anni fa e con la quale si frequentava da meno di due mesi, la vista e il raziocinio si potrebbero soffermare esclusivamente sull’espressione “soverchiante tempesta emotiva e passionale”.  Un elemento che, associato alla notizia del dimezzamento della pena dell’imputato, potrebbe provocare non pochi risentimenti anche agli occhi di chi il caso lo conosce a malapena.

E anche se, a livello puramente giuridico, dopo un’attenta analisi a freddo della sentenza, si nota che la famigerata “tempesta emotiva” viene collocata all’interno delle circostanze attenuanti generiche – inizialmente negate dai giudici di primo grado – e fermo restando che viene confermata la sussistenza dell’aggravante dei futili motivi, non è tuttavia chiaro perché nelle motivazioni del riconoscimento delle attenuanti generiche la rilevanza maggiore viene data proprio allo stato emotivo dell’imputato. La rideterminazione della pena si sarebbe verificata comunque, ma forse sarebbe stato diverso leggere che veniva considerato più rilevante, ad esempio, il tentativo di risarcire la figlia minore della vittima.

Anche se avrebbero portato allo stesso risultato, la rilevanza e la gerarchia che viene data alle motivazioni che determinano il ridimensionamento della pena di un imputato in un reato di femminicidio non sono affatto trascurabili.

La forma è importante. Vita. Politica. Giustizia. Eguaglianza. Cittadinanza. Immigrazione. Economia. Istruzione. Libertà. Coscienza. Tutti femminili, questi sostantivi. Come anche isteria, passione, emotività, rabbia, fragilità, gelosia. Quanti epiteti che si possono agganciare, quanti costrutti che si possono creare. Quante immagini che si possono plasmare.

Lo hanno capito in Spagna, dove solo dieci giorni fa la coalizione di sinistra ha subito una metamorfosi: ha femminilizzato le sue radici, quantomeno nella forma. Unidos Podemos, l’alleanza costituitasi tre anni fa e che riunisce le varie anime della sinistra iberica, tra cui Izquierda Unida, Podemos ed Equo, ha magicamente cambiato abito e si ritrova meglio sotto la sigla di Unidas Podemos. Non cambia la vita di nessuno, ma un marchio di fabbrica declinato al femminile ha senz’altro una forte valenza simbolica.

Come è molto simbolica anche quella grottesca immagine del carro di carnevale di Dusseldorf, la sfilata tedesca più politica, che raffigura un Salvini-donna che allatta due neonati, il Razzismo e il Nazionalismo. La volontà di ridicolizzare un pessimo politico, tanto per usare un eufemismo, utilizzando un’immagine diversamente declinata, un’immagine all’femminile. Ma più che un’offesa al politico, rischia di essere un’oltraggio all’immagine femminile. Ampio spazio alle interpretazioni.

In Italia, già dalla seconda elementare si insegna – da manuale – che “la mamma cucina e stira” e “il papà lavora e legge”. Non c’è da sorprendersi che l’imprinting che ne deriva potrebbe poi rispecchiarsi, ad esempio, in messaggi come quello del volantino, diventato virale sul web, dei giovani leghisti calabresi, i quali hanno pensato bene di celebrare la festa della donna ricordando la “vera” natura del ruolo della donna e sbandierando i vecchi “sani” principi fascisti. Fa qualche differenza se, poco dopo, il leader del Caroccio abbia preso le distanze da un tale obbrobrio? Il messaggio è passato e, restando anche solo su un piano simbolico, sono bocconi amari da mandare giù. Bocconi di un pane sempre più nero, segno evidente che è da un pezzo che la situazione sta sfuggendo di mano.

La forma è importante. Noiosa magari, ma sempre importante. La forma diventa sostanza e se non si calibrano bene le forze, il gioco diventa molto pericoloso. Indignarsi, protestare, intervenire è necessario più che mai, anche se purtroppo sta diventando una ginnastica quotidiana. E come tutte le azioni quotidiane, diventa uno standard, il quale, a sua volta, rischia di non produrre più l’effetto desiderato, di banalizzarsi e di trasformarsi quindi in rassegnazione.

Ma declinare, nel 2019, è ancora necessario. Declinare con criterio, utilizzare il politically correctness per colmare le asimmetrie, non per accentuare le divisioni. Dare il giusto peso alla forma, per arrivare ad un equilibrio anche nella sostanza, è sempre urgente. “Potere” è un sostantivo maschile. E per ora, ahinoi, il potere rimane maschile anche nella sua sostanza, non solo nella forma. È sconfortante, la strada da fare è ancora lunga e in salita, ma non pensiamoci troppo. Una caramella al limone per l’8 marzo e passa tutto. Per le fortunate che se la possono permettere, naturalmente, e salvo esaurimento scorte.

Alina Nastasa -ilmegafono.org