Sembrava la rivolta del secolo, la riproposizione in terra italiana della rivoluzione dei Gelsomini, almeno così la presentavano molti dei protagonisti delle giornate di mobilitazione che a gennaio hanno bloccato la Sicilia. I “Forconi”, invece, oggi continuano a mostrare sempre la stessa faccia, che non è per nulla edificante. Si organizzano, danno vita a comitati locali che discutono, si confrontano (e questa è la cosa positiva), ma poi si affidano sempre ai soliti leader che non perdono occasione per mostrare la loro desolante pochezza. Davvero mi riesce difficile capire come si possa accettare che certi personaggi si arroghino il diritto di rappresentare la mia terra, quella che ha conosciuto vere lotte di rivendicazione guidate da uomini di estremo valore e cultura come Danilo Dolci, Placido Rizzotto, Salvatore Carnevale e tanti altri che hanno mostrato il vero volto della Sicilia, della sua gente piena di dignità e coraggio, di sete di conoscenza. Siamo agli antipodi dalla storia dei migliori movimenti dell’isola, siamo in un caos di voci che urlano le solite cose, cercando di coinvolgere i cittadini facendo leva sullo stomaco e non sui pensieri, sulla consapevolezza che è fondamentale per l’avvento e lo sviluppo di un cambiamento reale.

Nulla contro la gente che per stanchezza e per rabbia si è lasciata coinvolgere, ma è deprimente assistere a spettacoli come quelli offerti, ad esempio, in occasione della trasmissione Servizio Pubblico di giovedì 8 marzo. In collegamento da Priolo, nel cuore di quella realtà industriale asfissiata dall’inquinamento, provata dai tumori e dalle malformazioni, sfiancata dalla disoccupazione, in mezzo alle parole legittime di qualche cittadino, rispunta il faccione arrabbiato di Mariano Ferro, uno dei leader della protesta. Microfono in mano, Ferro spiega le ragioni della mobilitazione, cominciando ad elencare i soliti snervanti attacchi alla politica (così, in maniera indistinta e vuota), allo Stato, a questo e a quello, iniziando poi ad attaccare Maurizio Belpietro (presente in studio), il quale, con il suo consueto stile provocatorio e irritante, ha risposto accusando i siciliani di aver vissuto per anni da assistiti e parassiti di Stato e di aver votato i politici di cui ora si lamentano.

Dinnanzi a questa argomentazione banale, volgare e abusata soprattutto al nord, avrei replicato ricordando al fedele scribacchino di Berlusconi come la Sicilia sia stata volutamente mantenuta in condizioni di povertà da quello Stato che aveva bisogno di un fortino elettorale costruito a colpi di clientele sbattuti in faccia al bisogno di sopravvivenza di buone fasce della popolazione. Avrei ricordato i furti, le depredazioni, i saccheggi, gli scempi ambientali che la mia terra ha subito a seguito di accordi tra le imprese del nord, la politica connivente (nazionale e locale) e gli ambienti criminali, raccogliendo consenso popolare a suon di royalties e di promesse di sviluppo poi rivelatesi false. Avrei ricordato anche come i vari governi che si sono succeduti nel corso della storia Repubblicana abbiano sempre soffocato le esperienze di lotta di uomini illuminati che alzavano la testa e si lanciavano contro la rete affaristica che imprigionava le diverse aree dell’isola. Manganelli, denunce, arresti illegittimi, proiettili, bombe: istituzioni e mafia hanno collaborato, hanno marciato nella medesima direzione per fermare chi non accettava il sistema di potere imposto dall’alto.

Avrei detto a Belpietro che nella mappa del potere asfissiante che strozza lo sviluppo della mia isola, probabilmente un posto di rilievo lo ha occupato e lo occupa anche quel Marcello Dell’Utri che ha fondato il partito del Cavaliere a cui lo stesso Belpietro lustra le scarpe senza usare vernice. Purtroppo, però, dall’altra parte c’era Mariano Ferro, il quale ha replicato con quell’ignoranza che mi irrita e mi deprime allo stesso tempo. “Noi li abbiamo votati, è vero – dice Ferro – ma voi li avete difesi! E poi ci avete fatto il lavaggio del cervello, come facevamo a non votarli?”. Chi li ha votati caro Mariano? Penso che in questi casi sia meglio parlare in prima persona e non attribuire un certo comportamento a tutti i siciliani. Che non sono tutti uguali. Perché esiste circa un milione di persone, su quest’isola, che non li ha votati, non si è lasciato ingannare né tantomeno lavare il cervello. Persone che non hanno parteggiato per il Mpa di Lombardo, come hanno fatto i leader di questo movimento, non hanno partecipato nemmeno ai loro tavoli e al loro sistema. Soprattutto, perché scaricare su altri le responsabilità che sono anche della nostra gente?

Al di là delle tante ragioni storiche che si possono enumerare, dobbiamo avere il coraggio di dire che una buona parte dei siciliani ha sbagliato, perché ha sguazzato in un sistema perverso, mentre altri siciliani lottavano con tutte le proprie forze per migliorare le cose e liberarci da tale sistema. Purtroppo il limite di quello che si presenta come un movimento, ma che puzza tanto di calcolo politico in vista dei tanti appuntamenti elettorali attesi nell’isola (tanto sospetta quanto puntuale è la proposta di legge presentata dal potente e discusso on. Minardo a sostegno delle richieste dei Forconi), è proprio l’assenza di un fondamento culturale che produca leader preparati, illuminati, capaci di leggere la storia della Sicilia e dell’Italia, pronti a formare culturalmente e politicamente gli aderenti, a dar loro consapevolezza, piena coscienza, ripudiando atti di forza e di arroganza, se non di violenza, identificando per bene gli obiettivi e le priorità, nonché la portata delle rivendicazioni.

Tutto questo non c’è. E credo, a malincuore, che non ci sarà, perché la Sicilia non riesce ancora a cambiare. Non per indolenza, ma per lo sfilacciamento della società civile e di quegli intellettuali che si sono isolati e ritirati nelle stanze di una rassegnata attesa. Eppure del fermento c’è, ci sono movimenti che territorialmente stanno maturando e che ora sono chiamati a consacrarsi prendendo posizione nella contesa politica e pre-elettorale attualmente in corso. Il pessimismo mi suggerisce l’amarezza di un ennesimo spreco di risorse umane e intellettive, sacrificate al compromesso necessario per ottenere rappresentanza. L’ottimismo mi spinge a sperare che un gruppo di visionari sputi fuori il coraggio dell’utopia, senza la paura che sia troppo grande per tentare di costruirne le fondamenta.

Massimiliano Perna –ilmegafono.org