Il riscaldamento globale rischia di diventare sempre più una minaccia per agricoltura, economia e salute pubblica. Secondo un recente studio, condotto dalla Rutgers University e pubblicato su Environmental Research Letters, 1.2 miliardi di persone potrebbero sperimentare sintomi da shock termico entro fine secolo se l’andamento climatico rimanesse lo stesso. Si tratterebbe di più di un sesto della popolazione mondiale odierna e più di quattro volte il numero di quelle a rischio oggi e circa dodici volte in più rispetto a prima della Rivoluzione Industriale. Quando si parla di shock termico si fa riferimento a una vera e propria malattia causata dall’esposizione combinata a caldo estremo e umidità. I sintomi possono essere mal di testa, nausea, perdita di concentrazione e di sete, ma se il malore è più forte possono verificarsi addirittura rush cutanei, crampi e talvolta svenimento.

Secondo gli scienziati, il Pianeta supererà, tra il 2030 e il 2052, quota 1.5°C di riscaldamento rispetto al 1850 fino a raggiungere i +3°C entro la fine del secolo. Questo porterà a maggiore siccità e a ondate di calore sempre più severe associate a un incremento dell’umidità atmosferica e di conseguenza la sindrome da heat stress sarà potenzialmente più acuta. Per quantificare gli effetti sulla popolazione, gli studiosi hanno utilizzato 40 modelli di simulazione climatica differenti e, inoltre, come parametri per valutare la severità dello shock termico alle varie latitudini sono stati scelti temperatura media, umidità, velocità del vento, angolo di incidenza solare e radiazione infrarossa. Come campione per la ricerca sono state selezionate 15 grandi aree metropolitane per la loro valenza statistica. I risultati sono stati inequivocabili: +1.5°C corrisponderebbe a 508 milioni di persone esposte; +2°C a 789 milioni; infine, +3°C a ben 1.22 miliardi.

Nel nostro Paese è stata presa come modello Roma, ma i dati rilevati si possono estendere a tutta la Penisola. I ricercatori si attendono una frequenza dieci volte maggiore per ondate di calore comparabili a quella del 2003. In quella occasione, per giorni si verificarono 40°C e nel giro di tre mesi morirono circa 18 mila persone. Se si dovesse riscontrare una temperatura media globale di +3°C, in Italia sarebbero 16 i giorni all’anno in cui potrebbero accadere condizioni simili al 2003 e ben 49 con 4.5°C in più.

Anche se al momento sembra che gli effetti del global warming siano più deboli e meno visibili a causa delle restrizioni dovute al diffondersi del Coronavirus, non si deve ugualmente abbassare la guardia, perché finita la quarantena la battaglia non sarà vinta. Dunque, continuando a mettere in atto azioni scarse e inefficaci si andrà incontro a questi possibili scenari, con numeri che potrebbero aumentare all’incrementare delle temperature.

Veronica Nicotra -ilmegafono.org