Dieci mandati di arresto, tre procedimenti giudiziari, numerose minacce di morte per aver svolto coerentemente il suo lavoro. Maria Ressa, giornalista filippina naturalizzata statunitense, classe 1963, vive così da anni. Cofondatrice del sito giornalistico Rappler, nella seconda metà degli anni Duemiladieci si è distinta per le critiche sull’operato del presidente filippino Rodrigo Duterte nell’ambito della sua “guerra alla droga”, venendo arrestata e condannata per diffamazione online per la sua attività. Negli anni, Rappler ha mantenuto una linea editoriale molto critica nei confronti dell’amministrazione Duterte, smascherando scandali, corruzione e raccontando la brutale campagna antidroga portata avanti dal presidente che, secondo alcune stime, ha portato decine di migliaia di esecuzioni extragiudiziali.

Le Filippine sono una delle nazioni più pericolose al mondo per i giornalisti. Il Comitato per la protezione dei giornalisti calcola che, negli ultimi trent’anni, 145 professionisti dell’informazione hanno perso la vita. Il presidente (ormai uscente) Rodrigo Duterte chiama abitualmente i giornalisti “spie” e “figli di puttana”, e una volta ha comunicato che, la maggior parte di quei reporter che sono morti, in qualche modo se lo meritavano. “Non verrete uccisi se non farete qualcosa di sbagliato”, ha detto. Un monito e una minaccia a stare al proprio posto, che significa raccontare il falso, essere sempre a favore del presidente e del suo governo, non denunciare, non produrre inchieste. Nei fatti, non poter svolgere la propria professione.

Stando ai dati ufficiali del governo di Manila, come riportato nel sito de “L’Indipendente”, la guerra alla droga nelle Filippine avrebbe causato 6.200 morti, tra trafficanti e consumatori, dal giugno 2016 al novembre 2021. Mentre per il Tribunale Penale Internazionale (ICC), che ha aperto un procedimento su Duterte per crimini contro l’umanità, le morti causate dalla guerra alla droga ammonterebbero ad una cifra che va dalle 12.000 alle 30.000 persone. Secondo i giudici, infatti, la cosiddetta campagna di guerra alla droga non può essere vista come un’operazione legittima delle forze dell’ordine, ma piuttosto come un attacco sistematico ai civili. Numerosi gruppi per i diritti umani accusano infatti Duterte di aver dato mano libera alla polizia, affermando che in numerose operazioni antidroga le forze dell’ordine avrebbero ucciso sospetti disarmati. Le autorità filippine hanno sempre sostenuto che la polizia avesse l’ordine di uccidere solo per legittima difesa.

Le esecuzioni extragiudiziali, come li chiama il governo filippino, sono di fatto omicidi illegali compiuti da vigilantes o funzionari di polizia su ordine o grazie alla complicità della presidenza. Secondo Maria Ressa, gli omicidi venivano “decisi” dall’alto in base a quote e incentivati grazie a ricompense in denaro che hanno creato un’economia della morte. È importante sottolineare come queste “operazioni”, basate su liste non verificate dei consumatori o trafficanti di droga, venissero nella quasi totalità dei casi sempre effettuate nelle aree più misere delle città.
Maria Ressa non si ferma. Continua a lavorare. Combatte per il suo Paese e per il suo lavoro. Combatte contro la disinformazione, soprattutto della rete.

Le piattaforme social possono arrivare, secondo la giornalista, anche a “manipolare le nostre menti, creando realtà alternative, rendendoci impossibile pensare”. E attenzione al concetto spesso “abusato” della libertà di parola, trincerandosi dietro il principio che tutti possono dire tutto. Secondo quanto riportato dal “Guardian”, Ressa in una sua dichiarazione osserva: “È una questione di libertà di accesso, non di libertà di parola. C’è qualcosa di sbagliato nell’ecosistema delle informazioni perché le piattaforme che forniscono i fatti sono in realtà prevenute contro i fatti”. Il problema delle fake news non riguarda solo alcuni regimi illiberali (o peggio, liberticidi) ma anche il civilissimo Occidente,  nonostante la piena presenza della libertà di parola e di stampa. Ogni giorno vi sono problematiche quotidiane in merito alle cosiddette “bufale”.

Ecco che Maria Ressa entra anche qui a gamba tesa sull’argomento: “Nessuna democrazia è immune da minacce. Penso che le piattaforme tecnologiche abbiano mostrato quanto sia facile usare la tecnologia per manipolare la biologia umana”. Denunciare tutto questo e le violenze perpetrate nel suo Paese, denunciare e condannare la propaganda del presidente Duterte ha causato le minacce alla giornalista filippina, la quale non è l’unica, peraltro, a trovarsi in queste condizioni. Si tratta di una questione di legalità. Con la scusa di combattere il traffico internazionale di droga si sta perpetrando una carneficina senza riuscire, peraltro, a debellare il fenomeno criminale. Nel 2021 è stato assegnato a Maria Ressa il premio Nobel per la pace. Lei non dimentica ma guarda avanti. Ha una concezione del passato che le permette di andare oltre: “Il passato non passa mai – afferma – ma quando è passato non esiste più”.

Vincenzo Lalomia -ilmegafono.org