Nella notte tra il 28 e il 29 ottobre si è consumata una tragedia che ha scosso la città di Ercolano, in Campania. Due ragazzi di 26 e 27 anni sono stati freddati da 11 colpi di un fucile da caccia. L’equivoco nasce dalla decisione, rivelatasi fatale, dei due ragazzi di sostare in auto nei pressi dell’abitazione di un camionista 53enne incensurato che, pensando a dei ladri, non ci ha pensato due volte prima di fare fuoco. Non è stato definito il motivo per cui i ragazzi fossero fermi fuori dall’abitazione, ma è accertato che, una volta appurato il pericolo, abbiano tentato invano la fuga. Negli ultimi giorni infatti il gip ha avuto accesso alle telecamere di sicurezza di un vicino grazie alle quali sono emersi nuovi dettagli di questa agghiacciante vicenda.

La macchina, una volta raggiunta dai colpi, si è scontrata contro un muretto e solo 10 minuti dopo l’assassino si è recato in strada per verificare quanto era successo. Addirittura, sembrerebbero passati almeno 26 minuti tra gli spari e la segnalazione alla polizia di quanto accaduto. Ovviamente per i ragazzi non c’è stato niente da fare e la difesa degli avvocati del killer, che parla di “spari nel buio”, al momento sembra debole visto che le immagini hanno evidenziato che i fari erano accesi e la macchina bianca era ben visibile. Anche la prima indiscrezione, secondo cui sarebbe suonato l’allarme perimetrale della casa è stato spazzato via dalle prime indagini che hanno dimostrato che il dispositivo è rimasto silente.

Quello su cui però bisogna puntare l’attenzione è che questo è l’ennesimo incidente provocato dall’uso superficiale di strumenti di morte come le armi da fuoco. A dirla tutta, nelle azioni dell’omicida sembra esserci ben poco di accidentale e c’è da chiedersi se questa sia la reazione isolata di una persona instabile oppure se sia figlia di una retorica sempre più efferata e diffusa sullo sdoganamento dell’uso delle armi in questo Paese. Non è un caso che leader politici di destra siano da sempre schierati affinché venga superato il concetto di legittima difesa e si siano più volte schierati a favore di chi abbia sparato a ladri o presunti tali. Ad esempio, è famosa la campagna di Matteo Salvini che fino a qualche mese fa continuava a ripetere in ogni circostanza “la difesa è sempre legittima”. Il problema è che, seguendo slogan come questo, spesso viene difeso anche chi spara alle spalle o chi non è in comprovate situazioni di pericolo.

Secondo questa inaccettabile retorica sempre più diffusa, la difesa di un bene viene prima della preservazione di una vita. In questo caso il tutto è aggravato dal fatto che non vi era alcuna intenzione da parte delle vittime di arrecare un danno al proprio carnefice, ma è così diverso da altri casi in cui i ladri sono stati sparati alle spalle mentre fuggivano? Chi decide quanto vale la vita di una persona? La verità è che in uno stato civile come l’Italia, l’uso di un’arma per difendersi è considerato legittimo solo in estrema ratio, perché non esiste la possibilità di farsi giustizia da soli. Per questo motivo cavalcare l’onda dell’emotività di persone che sono vessate da furti e microcriminalità per fare della retorica da quattro soldi è subdolo quanto pericoloso.

Forse queste ennesime vite innocenti spente dovrebbero portare a una riflessione e a prendere le distanze da cattivi modelli, come quello americano, a cui negli ultimi anni si sta strizzando l’occhio. La verità è che quando un’arma fa fuoco delle vite si spengono e altre rimangono irrimediabilmente rovinate. Si pensi alle famiglie delle vittime, ma anche a quella dell’omicida, che è stato arrestato ed è ancora in stato di fermo. Probabilmente ci rimarrà. Ne valeva davvero la pena?

Vincenzo Verde -ilmegafono.org