A Palermo si torna a respirare un’aria colma di tensione e di paura. A poco più di vent’anni dalle stragi di mafia che hanno scosso l’intero Paese, la criminalità organizzata torna a mostrare gli artigli, a fendere colpi bassi. Così come allora, anche oggi la situazione politica non è certamente delle migliori ed è proprio in queste circostanze di instabilità che la strategia della tensione diventa utile a chi vuole farsi vedere, a chi vuole che si torni a parlare, a contrattare, a discutere per un nuovo patto scellerato. La notizia è di qualche giorno fa e a riportarla è Il Fatto Quotidiano: due lettere anonime contenenti delle minacce rivolte al magistrato palermitano Nino Di Matteo e ad un altro magistrato (di cui però non si fa il nome) sono state recapitate alla procura del capoluogo siciliano.

All’interno di una delle due missive si può leggere questo: “Amici romani di Matteo hanno deciso di eliminare il pm Nino Di Matteo in questo momento di confusione istituzionale, per fermare questa deriva di ingovernabilità. Cosa nostra ha dato il suo assenso, ma io non sono d’accordo”. A firmare il tutto sarebbe un elemento del commando dei killer di Cosa nostra pronto a fare fuoco. Ma analizziamo con attenzione queste parole terribilmente inquietanti. Nella prima parte della missiva si legge un riferimento ad alcuni “amici” di Matteo, ovvero Matteo Messina Denaro, storico boss di Cosa nostra ancora latitante. A chi ci si riferisce? Gli inquirenti non sono stati ancora in grado di decifrarlo, ma un fatto accaduto poco meno di un mese fa rischia di creare scalpore.

Proprio il 21 marzo scorso, infatti, il procuratore generale della Cassazione, Gianfranco Ciani, ha accusato il pm Di Matteo di aver “violato i doveri di diligenza e di riserbo” e il “diritto alla riservatezza” del Capo dello Stato per aver reso pubbliche ed aver confermato delle conversazioni intercettate durante un’inchiesta. Per tale ragione, Ciani ha dato il via ad un procedimento disciplinare nei confronti del magistrato palermitano e, come se non bastasse, il ministro della Giustizia Severino ha pensato bene di spendere qualche parola d’elogio nei confronti del pg per il provvedimento preso.

Ora, ciò non significa assolutamente che Di Matteo sia vittima di un piano diabolico costruito sull’asse Ciani-Severino. E non è nemmeno certo che quanto sia scritto corrisponda al vero (cioè che sia Roma il centro da cui è partito il tutto). Il problema, però, consiste nella parte successiva a quanto appena detto ed è quella che si riferisce alla situazione attuale in cui viviamo. Come detto, è proprio in momenti così critici che una strategia come quella della tensione e della paura ottiene i risultati migliori (ovviamente migliori per quella connivenza politico-mafiosa che continua da molto più che un ventennio). E l’isolamento a cui certe iniziative come un procedimento disciplinare conducono, finiscono per favorire indirettamente il progetto mafioso. Le famose “convergenze”.

È possibile, quindi, che la mafia sia pronta a riprendere in mano le armi nel caso in cui non si giungesse alla creazione di un governo stabile a cui presentare le proprie richieste. Ma perché le minacce a Di Matteo? La risposta è semplice: il pm palermitano, insieme ad Antonio Ingroia, è uno dei magistrati simbolo dell’inchiesta sulla trattativa Stato-mafia che vede coinvolti, tra gli altri, anche gli ex ufficiali dei Ros, Mario Mori e Mauro Obinu. Insomma, non è certo un caso che Cosa nostra voglia eliminarlo e che voglia farlo proprio adesso, un periodo storico in cui la verità, che è stata sepolta fino ad oggi, rischia di emergere.

Il procuratore di Palermo Francesco Messineo e l’aggiunto Vittorio Teresi sono molto preoccupati per quanto accaduto. Le lettere sono state definite “inquietanti” e molto affidabili, dato che, a quanto pare, chi scrive conosce benissimo gli spostamenti del magistrato Di Matteo e persino i punti deboli della scorta (tra l’altro aumentata e rinforzata proprio in questi giorni). Non bisogna poi dimenticare il riferimento che lo stesso mittente fa nei confronti di un pm che lavora a Caltanissetta e che “torna spesso a Palermo” ( è, ancora una volta, un esempio lampante di come la mafia sia in grado di controllare ogni minimo movimento).

Anche la procura nissena si è interessata particolarmente alla trattativa Stato-mafia, dunque è probabile che l’intenzione sia proprio quella di mettere a tacere chiunque voglia scoprire una delle verità più scomode della storia dell’Italia repubblicana. Lo scenario che si va delineando è davvero tragico. In momenti del genere bisognerebbe raggruppare le forze e costruire un muro compatto che possa scongiurare ogni pericolo. Invece, come al solito, nel nostro Paese regna la confusione più totale e, come se non bastasse, gente coraggiosa e onesta come Di Matteo viene lasciata sola e addirittura accusata, soprattutto non riceve la solidarietà delle massime istituzioni, rimaste in silenzio dopo la diffusione della notizia.

Per fortuna, però, c’è ancora chi dimostra con grande tenacia una solidarietà vera e sincera. Sonia Alfano, presidente della Commissione Antimafia Europea, ha dichiarato, a tal proposito, che si farà “completamente carico” dell’appello a lei indirizzato relativo “a quanto sta accadendo a Palermo in questi giorni e alle minacce concrete che riguardano il Dott. Di Matteo e altri magistrati impegnati in difficili indagini e processi a Palermo e a Caltanissetta”.

Un altro gesto di solidarietà viene dal deputato Pd Giuseppe Lumia, secondo il quale “si tratta di un fatto gravissimo che questa volta arriva in un momento di grande incertezza ed instabilità per il nostro Paese e che richiama alla memoria il passaggio tra la prima e la seconda Repubblica”. Per il resto tanti silenzi, soprattutto dal Quirinale. Purtroppo, non ci resta che la consapevolezza molto amara di vivere uno dei momenti più bui della storia italiana; la luce in fondo al tunnel, al momento, non è altro che un piccolo, illusorio miraggio. Speriamo solo che, questa volta, la storia non si ripeta.

Giovambattista Dato -ilmegafono.org