Idlib, un fuoco tra guerra e pandemia. Il Covid-19 si espande, arriva in Siria in seno ad una popolazione già provata da una guerra sanguinosa che dura da anni. Tra gente continuamente costretta alla fuga, case danneggiate o distrutte, la terra diventa il terreno fertile dove un’epidemia riesce a farsi strada facilmente. Abbiamo intervistato Hasan, dirigente medico di una clinica nei pressi di Idlib, e ci ha raccontato come su vari fronti e aspetti quell’area della Siria sta affrontando ora l’epidemia.

Come vi state muovendo per arginare questa situazione?

“In quanto medico ho diramato le semplici regole per evitare un contagio. La sterilizzazione è alla base nel momento in cui si parla di prevenzione, così come un buon mantenimento dell’igiene personale. Le disposizioni sono le stesse ovunque. Mantenere la gola bagnata e masticare spesso magari una gomma per secernere la saliva, indossare una maschera per evitare di mettere la mano in bocca o toccare il naso, evitare poi di toccare gli occhi. Sono queste le informazioni che anche qui abbiamo dato ai nostri pazienti”.

Disposizioni uguali  per tutti, diramate dall’OMS, eppure cultura e religione giocano un ruolo chiave in quei luoghi in bilico tra guerra e pandemia.

“Sfortunatamente nelle società orientali – continua Hasan – nessuno riesce ad adattarsi alla nuova realtà e molti non si curano affatto di questo Coronavirus. Alcuni pazienti dicono che questa malattia non colpirà i musulmani poiché tali e in virtù del fatto che si lavano con acqua cinque volte al giorno. È assurdo e questo atteggiamento non li aiuterà quando la malattia inizierà a divulgarsi ovunque qui. La malattia non conosce alcun Dio, semplicemente si diffonde. Basta guardare le informazioni, i numeri, i dati diramati dall’Organizzazione Mondiale della Sanità per capirlo e vederlo”.

I medici hanno adeguati dispositivi di protezione come mascherine, tute protettive, etc.?

“No, abbiamo davvero pochi dispositivi di protezione e questo ovviamente comporta un grave problema.

Com’è la reazione della popolazione civile di fronte a questa epidemia?

“La verità è che la gente è molto più preoccupata di non riuscire più a mangiare. Li preoccupa più questo del virus. I blocchi e quant’altro stanno rendendo difficili le piccole entrate economiche e questo causa il non riuscire ad acquistare cibo. Se oggi lavori, oggi riesci a sfamarti, ma se domani e il giorno dopo ancora non lavori, allora non riesci più ad avere cibo. Ecco, morire di fame è ciò che preoccupa molto la gente in questi posti”.

Una matrioska fatta di emergenze umanitarie e poche risposte e azioni da parte delle Nazioni Unite, dove si assiste a un effetto domino di catastrofi umanitarie sotto ogni aspetto. Un gran gioco di prestigio come quello svolto dalle grandi Nazioni per aiutare l’Italia di fronte all’Emergenza Covid-19: chissà qual è quell’interesse che muove il sol e l’altre stelle fino a qui. Ci sarebbe da alzare gli occhi al cielo, però, ed evitare che in luoghi come la Siria le stelle vengano spente una ad una lasciando quelle popolazioni poi completamente al buio e sole.

Rossella Assanti -ilmegafono.org