John Knowles Fitch, John Moody e Henry Varnum Poor erano tre imprenditori statunitensi vissuti tra la fine del XIX secolo e l’inizio del XX secolo. Tutti e tre erano appassionati di trasparenza finanziaria e così iniziarono, ognuno per conto suo, a pubblicare documenti e report sullo stato finanziario del bilancio di molte aziende americane dell’epoca. Ai tempi dei grandi cartelli del petrolio americano, che apparteneva ai Rockefeller, cercare dati finanziari e bilanci credibili significava brancolare nel buio. Quelle che oggi vengono chiamate agenzie di rating sono di nobile e retta origine. Chi sono oggi le agenzie di rating? Iniziamo dicendo che il mercato mondiale del rating è in mano a un triopolio privato: Moody’s, Fitch Ratings e Standard&Poor’s. 

La funzione di un’agenzia di rating è quella di fornire al mercato valutazioni e ricerche finanziarie sullo stato economico di aziende e stati sovrani. Si emette quindi un giudizio che concerne un titolo del soggetto in questione sotto forma di sigla alfanumerica, come le famose “Aaa, Baa”. Ogni agenzia ha il suo alfabeto valutativo. Nello specifico, un’azienda, per ricevere la valutazione del suo titolo, deve contattare l’agenzia e pagare, per poi ricevere come compenso la valutazione. Proprio qui sorge il primo punto critico. Vi è, da un lato, un servizio pubblico di fondamentale importanza come l’informazione sulla solvibilità di un’azienda; dall’altro lato, abbiamo il rapporto economico di compravendita di un servizio in un mercato privato. Immaginate di andare da un vostro conoscente e pagarlo perché dia a tutti un giudizio su di voi, e come lo fate voi lo fanno anche gli altri. C’è il forte rischio che il giudizio migliore lo riceva colui che paga meglio il valutatore.

Altro problema da non sottovalutare, data la funzione pubblica del servizio prodotto, è il fatto che le agenzie sono private. Standard&Poor’s è posseduta dal gruppo McGraw-Hill (quotato a New York) che, a sua volta, è in mano al Capital World Investment come azionista di maggioranza. Sempre Capital World Investment possiede anche una partecipazione di Moody’s. Sempre Moody’s è principalmente in mano al magnate che tutti conosciamo come l’uomo che non usa le carte di credito, ossia Warren Buffet, tramite il suo gruppo Berkshire Hathaway. Fitch, invece, è in mano a una società francese. Questo dovrebbe dare un’idea ristretta, ma logicamente corretta, di cosa significhi conflitto d’interesse.

I conflitti d’interesse presenti nel mondo della agenzie di rating sono tra gli argomenti del dibatto economico di prima pagina dal 2008, con la crisi dei mutui subprime. Da allora, molta della credibilità delle agenzie è venuta meno, ma non troppo. Il grande pubblico è venuto a contatto con queste agenzie proprio durante la successiva crisi dei debiti sovrani, quando, con attacchi spesso poco leali, andavano a colpire i titoli di Stato di paesi che già navigavano in burrascosi mari monetari. “Bisognerebbe imparare a vivere senza le agenzie di rating o quanto meno imparare a fare meno affidamento sui loro giudizi.” Questo è il commento di Mario Draghi, presidente della BCE. Anche l’UE non ha tardato a muovere i primi passi: una “draft regulation” che possa regolare l’ambito della agenzie è stata proposta già nel 2008, poi approvata nel 2009. Negli Stati Uniti, con il Dodd-Frank’s Act, si è cercato di andare contro i problemi di concorrenza di cui si accennava prima.

Informare il mercato in maniera imparziale sullo stato dei suoi componenti è una procedura delicata. In un’epoca nella quale l’economia reale è solo un ventesimo di quella finanziaria, potrebbe divenire quasi fondamentale, quindi, non più un servizio di consulenza ma un vero e proprio faro economico nello scoglioso mare globale del mercato delle borse valori. L’idea di rendere le agenzie di rating pubbliche non le salverebbe di sicuro dalla corruzione o dai favoritismi, ma potrebbe ancorarle a determinati principi di democrazia occidentale. Teoricamente, in un paese con una costituzione libertaria e democratica, il mercato, più o meno libero a seconda del paese, dovrebbe in ogni caso rispettare i principi sui cui si fonda la Repubblica o la nazione in questione.

Le agenzie di rating sono un esempio perfetto per dimostrare a cosa porta una filosofia di autoregolamentazione che sembra più la trasposizione economica del pensiero di Bakunin anziché il mezzo per raggiungere il bene comune.

La procura di Trani, nel 2012, ha aperto un’inchiesta per ipotesi di reato di aggiotaggio, turbativa e manipolazione di mercato e abuso di informazioni privilegiate e, tra le prime conclusioni, si parla, per quanto riguarda l’agenzia Standard&Poor’s, di “una serie di artifici concretamente idonei a provocare una destabilizzazione dell’immagine, prestigio e affidamento creditizio dell’Italia sui mercati finanziari” a causa anche di “analisti (non identificati) inesperti e incompetenti”, a mezzo di comunicazioni ai mercati fatte “in maniera selettiva e mirata in relazione al momento di maggiore criticità della situazione politica economica italiana cagionando alla Repubblica Italiana un danno patrimoniale di rilevantissima gravità”.

Ben diceva il poeta Giovenale, nella VI delle sue satire sulle donne corrotte della Roma di Claudio: “Quis custodiet ipsos custodes?”. Chi sorveglierà i sorveglianti? O, nel nostro caso, chi valuta i valutatori.

Italo Angelo Petrone –ilmegafono.org