Euclide. È difficile che qualcuno non lo abbia mai sentito nominare. Se non lui, almeno, i termini che derivano dal suo nome. Euclideo, euclidee. Certo, dall’averlo sentito nominare a sapere chi sia stato ce ne corre. La certezza, però, è che non possiamo perdere la sua memoria. È una certezza – mi si passi il termine – matematica, e pace agli dei. Perché Euclide è una sorta di Galileo, Newton o Einstein ante litteram: quattrocento anni prima di Cristo la matematica era lui. E lui ci ha consegnato delle certezze pari al ciclo dei giorni: fra queste il concetto di “retta”. La retta è quella distanza immateriale, a una sola dimensione, senza spessore, tra due punti. E può starsene chiusa tra due alberi, per fare un esempio, o può essere infinita. Questo è un concetto primitivo (così lo definì Euclide) ed è una delle basi delle nostre conoscenze. È una certezza. Matematica, appunto.

Insieme al concetto di retta, alla base delle nostre conoscenze storiche dei concetti matematici c’è quello di “rette parallele”: due rette che camminano fianco a fianco, e che non si incontreranno mai. Sì, è un concetto anche un po’ romantico, velatamente triste se volete, ma immutabile. Due rette parallele non si toccano, manco si sfiorano, e non c’è verso. Questa è matematica, e neanche Minerva, con tutta la sua divinità, potrebbe confutarla. Vangelo è.

Ora: prendiamo due articolate dichiarazioni ufficiali che geograficamente sono collocabili fianco a fianco nella galassia delle notizie. La prima dice: “Con la presente mozione il Consiglio Comunale impegna il Sindaco, l’assessore e gli uffici legali a diffidare legalmente e/o adire le vie giudiziali nei confronti del calciatore e di tutti coloro che attaccano Verona diffamandola ingiustamente”. La seconda dice: “Balotelli è italiano perché ha la cittadinanza italiana, ma non potrà mai essere del tutto italiano. Ce l’abbiamo anche noi un negro in squadra, che ha segnato ieri, e tutta Verona gli ha battuto le mani. Ci sono problemi a dire la parola negro? Mi viene a prendere la Commissione Segre perché chiamo uno negro? Mi vengono a suonare il campanello?”.

Bene. La prima dichiarazione fa parte di una mozione indirizzata al Consiglio Comunale di Verona a firma di cinque consiglieri, mozione nella quale si fa riferimento ai fatti di domenica 3 novembre accaduti durante la partita di calcio Hellas Verona – Brescia, e che nega che si siano verificati episodi di razzismo (nello specifico vi si trova scritto che non ci sono stati “ululati” rivolti al calciatore Balotelli: “nessun presente li udiva”); la seconda, invece, è l’insieme delle frasi di Luca Castellini, capo della tifoseria dell’Hellas Verona ed esponente locale di Forza Nuova, intervistato dall’emittente Radio Cafè in merito a quanto accaduto domenica.

Razzismo e negazionismo: la storia è tutta qua. Il fatto che si provi a negare i fatti addirittura cercando di coprirli con un atto ufficiale è – come si dice in Sicilia – ammucciari ’u cielu ccû criu, cioè provare a nascondere il cielo con un setaccio. La dichiarazione di quei consiglieri comunali veronesi e quella del capo ultrà del Verona viaggiano parallelamente all’interno della stessa città dicendo cose diametralmente opposte, talmente opposte da non potersi mai incontrare. Se non fosse così grave sarebbe terribilmente esilarante. Il razzismo e la negazione della sua esistenza sono le facce della stessa medaglia: non si guarderanno mai, ma sono entrambe convinte delle proprie teorie.

Il negazionista dice che quello che agli occhi (e alle orecchie) dei più è razzista, in realtà è un ignorante. Come se invece il razzismo fosse il frutto esibito di una conoscenza approfondita, e non una delle espressioni più becere e pericolose di quell’ignoranza dietro la quale si prova a nascondere la verità. Ma è ovvio che il razzista è un ignorante, un ottuso, un imbecille. Le prese di posizione razziali hanno portato gli italiani a farsi fotografare con le abissine costrette a spogliarsi, esibendole come trofei, o i nazisti a usare i neonati degli internati come bersagli delle loro infinite pallottole.

I razzisti, però, sono meno di chi razzista non è, e di questo dobbiamo fare un punto di forza. Per una mamma di un giovane calciatore che urla a un avversario del figlio “negro di merda”, c’è l’intera società della squadra del figlio, a Monza, che fa sapere che la prossima partita i giocatori scenderanno in campo col volto dipinto di nero. Perché quella mamma è una, non è una squadra. Sono meno di noi i razzisti. Urlano, è vero, sono capaci di fare “bu” quando sono tanti e sono tutti insieme, ma da soli valgono quello che sono, cioè niente, e se le strutture (sociali o private) che permettono loro di riunirsi rispondono ai loro deliberati atti d’ignoranza, colpendoli uno a uno, mettendoli da soli di fronte la loro pochezza di spirito, allora possiamo anche sperare di ridimensionare questa deriva così buia.

Va bene sospendere le partite per qualche minuto, nei campionati professionistici, ma questo equivale a poco più di un buffetto. Va già meglio il daspo, ma potrebbe essere nulla più che un palliativo. Sono le scuole i nostri baluardi. Le periferie, i campetti, le piazze. L’educazione civica, alla quale finalmente a breve verranno concesse 33 ore scolastiche, deve diventare l’avamposto delle battaglie sociali. Se fossimo tutti razzisti il mondo si consumerebbe nel giro di un match di quarto d’ora, altro che novanta minuti. Ma siamo ancora in tempo: abbiamo ragazzi da crescere lontano dall’ignoranza.

Sebastiano Ambra – ilmegafono.org