Ve la ricordate la strage di Erba? Erano le 20:20 dell’11 dicembre 2006, e al numero 25 di via Diaz, a Erba, si consumò un duplice omicidio per il quale il 3 maggio del 2011 la Cassazione confermò la sentenza di condanna per i coniugi omicidi più noti dello Stivale: Rosa e Olindo. Rosa e Olindo se li ricordano praticamente tutti: diventarono un fenomeno mediatico da prima serata, fra Vespa, Matrix, Le Iene e tutto quello che l’ex tubo catodico poteva sputare fuori. Ma quanti si ricordano di Azouz Marzouk? Sì, ok, qualcuno ricorderà pure lui, ma il punto è un altro: quanti sanno dell’importanza di Azouz Marzouk, venuto fuori in quel contesto, per la storia recente di questo Paese? Perché Azouz, tunisino che formava una famiglia coi defunti Raffaella e Youssef, fu letteralmente linciato mediaticamente dopo che i sospetti iniziali andarono nella sua direzione.

Nacque un vero e proprio pregiudizio xenofobo quando le indagini dirette dal procuratore Lodolini si concentrarono su di lui: era una forma di pregiudizio che da anni covava in Italia trovando spazio nei media senza argini, inondando carta e schermi televisivi e prendendo piede senza problemi nel web. E fu così che Laura Boldrini, allora portavoce dell’Alto commissariato dell’Onu per i rifugiati, propose di mettere nero su bianco una regolamentazione: di lì a poco, da un’intesa tra il Consiglio nazionale dell’Ordine dei giornalisti e la Federazione della stampa, insieme all’Alto commissariato dell’Onu, venne redatta la “Carta di Roma”, un codice etico che i giornalisti devono seguire nel trattare di immigrati, rifugiati politici, richiedenti asilo. Qualche anno dopo, per attuare il protocollo deontologico venuto fuori da lì, nacque l’Associazione Carta di Roma, che da allora tenta di mettere ordine nel caos delle notizie su chi viene in Italia ed è visto come se volesse far esplodere il Colosseo con una bomba nella kefiah.

Tra i vari compiti che l’Associazione si è assegnata c’è “Notizie senza approdo”, un rapporto annuale su media e immigrazione, rapporto che quest’anno è giunto alla settima edizione e ci dice una cosa importante: nonostante i migranti siano sempre più presenti sui media, la paura degli italiani di fronte a loro sta calando. Il dato sulla loro massiccia presenza su giornali, web e tv è normale: negli ultimi cinque anni il trend è andato via via crescendo, e il primo semestre di quest’anno ha addirittura fatto segnare il numero più alto di servizi tv sui migranti degli ultimi 15 anni. E sì, in quel primo semestre agli Interni c’era lui: Matteo Salvini. Il leader della Lega tiene in mano una sorta di scettro in questo senso, perché il rapporto dice che, nei tg del 2019 (dove in un servizio su tre c’è stato un politico a parlare di immigrazione “come luogo di conflitto”), lui l’ha fatta da padrone: “in certe reti quasi un terzo delle interviste sul tema delle migrazioni è a lui”. La cosa incredibile del dato è la quasi totale assenza di contraddittorio, visto che solo nel 7% dei casi i migranti hanno detto la loro.

In ogni caso, però, tutto questo che abbiamo imparato a considerare normalità si scontra con un dato straordinario: gli italiani hanno meno paura. Il dato sull’insicurezza percepita è calato di dieci punti. E non perché sono venuti fuori leader capaci di parlare alla pancia della gente in un modo diverso dal collaudato “birra&salsicce” di Salvini, no, ma semplicemente perché il tempo ha fatto quello che riesce a fare meglio: far vincere la verità per stanchezza. Nell’introduzione al rapporto di quest’anno, il politologo Ilvo Diamanti spiega che mentre per anni “i due orientamenti, percezione e rappresentazione, si sono inseguiti a lungo, indifferenti all’andamento della realtà”, oggi si assiste a “un senso di assuefazione di fronte a messaggi proposti e reiterati a lungo”. Insomma: ci si è accorti che l’allarme in realtà è guasto, suona di continuo senza che nessuno ci sia entrato in casa. E non ci facciamo neanche più caso.

Certo è triste pensare che questa sveglia non viene da un deciso colpo di coda della società civile. È un po’ come la soluzione svelata nelle ultime pagine della “settimana enigmistica”, ma è comunque una piccola vittoria. La bomba sotto la kefiah non è esplosa, e anche se ce ne accorgiamo dieci anni dopo va bene lo stesso, perché il trucco della Nutella funziona sempre meno.

Seba Ambra -ilmegafono.org