Nel loro dialetto, i siciliani usano spesso il passato remoto. Una questione linguistica che poco c’entra con l’esperienza quotidiana, con quel vivere guardando sempre, in qualche modo, al di fuori dell’isola, in una proiezione di futuro per cui questo popolo senza popolo ha accettato di affrontare tante sfide, lotte durissime di esistenza e resistenza, tra abnegazione, miseria, eroismo e letteratura. Presente e futuro sono stati i tempi che più nel profondo hanno abitato l’animo di gran parte dei siciliani, che il mondo lo hanno accolto, conosciuto e poi modellato sulle curve dolci e aspre dell’isola e dei suoi tanti confini materiali e immateriali. Un mondo che spesso, per l’assenza di qualcosa che potesse somigliare a un popolo, hanno dovuto affrontare da soli, con quella solitudine di cui così bene scriveva Pippo Fava. Eppure, questa dimensione fortissima di presente è stata troppo spesso sottovalutata da chi osserva.

Per anni, infatti, chi alla Sicilia è estraneo ha sempre pensato che ad esser preponderante fosse quel passato che emerge dal dialetto, prova di un attaccamento geloso a tradizioni insormontabili, a usi e costumi che si ripetono nei secoli. In pochi hanno davvero guardato il grande sforzo di presente connesso a un urgente bisogno di futuro dei siciliani. Proprio questa loro dimensione li ha portati a emigrare o a lavorare duramente per cambiare la storia propria e della propria famiglia, raramente legandola a quella della propria comunità. Sta forse tutto lì l’inghippo e il caos nelle diverse valutazioni che si fanno sulla Sicilia e sui suoi figli. Il siciliano comune combatte per sé e per i suoi cari, per le persone vicine, ma lo fa senza un senso di proiezione civica, senza che questa azione si rifletta sulla sua comunità più ampia, sulla città, sull’isola. È solo, lotta solo, vince o perde sempre solo.

Anche i più grandi esempi che la Sicilia ha fornito raccontano storie di uomini e donne di grande valore, persone sempre ammantate di una romantica malinconia legata a una solitudine tangibile e spesso decisiva per le loro vicende umane. Ma erano persone che vivevano e morivano votandosi generosamente al futuro, donando ogni pezzo della loro esistenza a un’idea di comunità, soprattutto a chi sarebbe venuto molto dopo di loro. Oggi, però, da siciliano, è difficile pensare a questa dimensione interconnessa di presente e futuro. È molto più facile, invece, accorgersi di come l’animo di questo insieme di individui, frastagliato e diverso, sia molto simile a quel tempo verbale che ci riporta lontano, in un lungo viaggio all’indietro. Basta guardare al voto, alle ultime elezioni amministrative. Basta prendere ad esempio Palermo e vedere quello che è accaduto.

Sia chiaro, i risultati delle elezioni sono sempre la somma di tante cose, di errori, scelte, contesti e tempi. Il voto si rispetta e si rispetta anche una persona che non ha macchie o contiguità discutibili. Non è la persona Lagalla il problema. Ma lo è il politico Lagalla. Colui che ha cercato l’appoggio di uomini come Cuffaro e Dell’Utri, ancora centrali, ancora probabilmente capaci di portare consensi e spostare voti. Non è nemmeno un problema di Cuffaro e Dell’Utri in sé, perché sono semplicemente due persone che hanno scontato una pena e sono libere di esprimere opinioni e consigli di natura politico-elettorale. Il problema sono le forze politiche, che a loro si inginocchiano per avere consigli e sostegno. Il problema sono le forze politiche che candidano personaggi che, in piena campagna elettorale, vengono ancora beccati ad elemosinare voti e appoggi al mafioso di turno, in quel radicato sistema di scambio che, va detto, infetta i meccanismi elettorali di ogni parte d’Italia, da nord a sud.

Il problema sono anche e soprattutto i cittadini che, malgrado tutto, continuano a votare, si fidano e se ne fregano di quanto è accaduto. Inutile ribadirlo, non è Lagalla il problema, ma chi lo sostiene. Perché con chi ha portato voti bisognerà parlare e a chi ha portato voti bisognerà riconoscere qualcosa. Non abbiamo motivo di dubitare che il nuovo sindaco di Palermo sarà in grado di fare pulizia, di tenere a bada le pressioni che arriveranno anche da chi ha sostenuto le forze della sua coalizione. E che avrà il coraggio prima o poi di prendere le distanze dagli impresentabili. Ma rimane l’onta, la macchia sulla Sicilia e sulla sua dimensione presente, offuscata miseramente da un ritorno al passato che si legge sulla sfilata di volti noti, di movimenti e processioni politiche che sanno di stantio.

Guardando il voto di Palermo e osservando anche il modo in cui è nuovamente esplosa in Sicilia la questione rifiuti, ma anche ascoltando e osservando le soluzioni che vengono proposte, i dibattiti, le tarantelle perverse di media schierati al soldo di questo o quell’interesse, oggi è davvero difficile non sentirsi come ingabbiati dentro una macchina del tempo che ha riportato ogni cosa a una data remota. A una Sicilia che non pensavamo più di poter rivedere così conciata. E che per novembre, quando si terranno le elezioni regionali, non sembra certo riservare promesse più rassicuranti.

Massimiliano Perna -ilmegafono.org