Nel giro di pochi giorni, il mondo dell’antimafia è stato scosso da due notizie importanti e contrastanti tra loro: se da un lato, infatti, è stata riassegnata la scorta a Valeria Grasso, testimone di giustizia ed imprenditrice siciliana, dall’altro si è assistito al taglio delle scorte nei confronti di Marisa Manzini e Roberto Tartaglia, due dei magistrati più noti tra quelli impegnati nella lotta alla criminalità organizzata in Calabria e Sicilia. Quanto accaduto non può certamente essere ignorato e merita una riflessione.

Valeria Grasso, come detto, è un’imprenditrice siciliana che ha deciso di denunciare cosa nostra e che per questo è finita nel mirino dei clan mafiosi. Lo scorso 23 novembre l’Ucis (Ufficio Centrale Interforze per la Sicurezza Personale) aveva deciso di revocarle la scorta, nonostante la Grasso disponesse di un servizio di sicurezza già insufficiente in relazione alle minacce subite nel corso degli anni scorsi. Fortunatamente, però, tale decisione è stata presto revocata e riformulata con la riassegnazione della scorta, grazie anche all’intervento e all’interesse del ministro dell’Interno, Luciana Lamorgese. Ad una notizia bella, purtroppo, bisogna anche affiancarne una decisamente terribile.

Quasi in contemporanea, infatti, la stessa Ucis ha ridotto dal secondo al terzo livello il grado di sicurezza nei confronti dei due magistrati sopracitati: secondo l’ufficio in questione, tale scelta sarebbe motivata dal fatto che i due vivono e lavorano a Roma da qualche mese e quindi sarebbero meno esposti a rischi ed intimidazioni rispetto alle città di provenienza (Palermo per Tartaglia e Cosenza per la Manzini). Se una motivazione del genere fosse confermata, ci troveremmo dinnanzi ad una situazione a dir poco imbarazzante e grave. Il fatto che i due si trovino a centinaia di chilometri dalle città in cui hanno lavorato e combattuto la mafia per tanti anni non significa affatto che siano più sicuri o che il rischio sia diminuito. A meno che si voglia sostenere che a Roma la mafia non esista o non possa arrivare e che i pm (così come i giornalisti, ad esempio) allontanandosi dalle proprie terre sono liberi di svolgere il proprio mestiere in tranquillità.

Se si pensa che una scelta del genere sia stata presa da un organo istituzionale e governativo, la situazione non può che peggiorare: c’è davvero qualcuno, all’interno delle istituzioni, che crede che la Capitale sia un posto più sicuro di Palermo o Cosenza? O che i clan mafiosi abbiano confini territoriali che non possono travalicare qualora decidessero di mettere in pratica le proprie minacce? Questa situazione è paradossale. La speranza è che dalle stanze dell’Ucis si faccia un nuovo passo indietro e si ammetta l’errore madornale appena commesso che mette in pericolo i due magistrati. L’Italia non ha bisogno di eroi, ma di gente che possa fare il proprio dovere. E in questo caso, per poterlo fare, c’è bisogno di tutela e protezione dello Stato per il quale lavorano. Ridurre quella tutela è davvero un pessimo segnale.

Giovanni Dato -ilmegafono.org