In occasione della Giornata internazionale contro la corruzione, celebratasi lo scorso 9 dicembre, l’associazione Libera di Don Ciotti ha lanciato una campagna nazionale per monitorare il grado di trasparenza nelle università italiane. La campagna, intitolata “Esame da superare: la trasparenza”, vuole essere un monito di impegno e di attenzione nei confronti di un problema che affligge gran parte degli atenei italiani. Sebbene, infatti, l’università sia parte integrante del tessuto culturale del nostro Paese e ricopra un ruolo importante di aggregazione, formazione e istruzione, è altrettanto vero come proprio in quest’ambito vi sia sempre più un “caleidoscopio di illegalità, irregolarità e opacità che colorano le università italiane penalizzando spesso il merito a favore di una gestione familistica”. Un caleidoscopio che è fatto di concorsi pilotati, scambi di favori, “bandi sartoriali” e molto altro ancora.

L’università, insomma, altro non è che lo specchio di un Paese malato, malridotto, che tenta la via della opacità (se non addirittura dell’illegalità) come unico mezzo per raggiungere i propri obiettivi e ottenere i propri interessi. Proprio per tale ragione, l’associazione Libera ha pensato di attivare un vero e proprio “monitoraggio civico” in grado di valutare la salute di ogni ateneo in termini di trasparenza e legalità. Il tutto potrà essere realizzato grazie ad un questionario che dovrà essere compilato dagli studenti e che permetterà di valutare quanto la propria università utilizzi gli strumenti predisposti dalla legge 190/2012. Ma di che strumenti si tratta?

Nello specifico, si tratta di un codice di comportamento messo a disposizione dal governo in termini di prevenzione e di repressione della corruzione e dell’illegalità nella pubblica amministrazione. Con questa campagna, Libera vuole quindi porre l’attenzione su quanto e come (ma soprattutto se) gli atenei italiani siano effettivamente trasparenti e utilizzino tale codice. Non solo: in questo modo, infatti, si vuole guardare alla trasparenza “non come semplice adempimento burocratico, ma come presupposto per generare attenzione, monitoraggio e quindi prevenzione di abusi e corruzione”.

In poche parole, si tratta del minimo indispensabile per poter garantire quella qualità e quella trasparenza nei servizi che ci si aspetta da un ente pubblico (e il fatto che in Italia ci sia bisogno di un’associazione antimafia che faccia luce su certi aspetti la dice lunga sulla situazione attuale). Siamo sicuri che l’iniziativa di Libera porterà i frutti sperati, a maggior ragione dopo quanto emerso dal report dell’Anac, intitolato “Monitoraggio conoscitivo sulla esperienza della trasparenza”. Stando a quanto riportato, infatti, emergerebbe come il rispetto della trasparenza da parte degli enti universitari venga considerato necessario da quegli stessi studenti che usufruiscono di certi servizi. Non solo, se è vero che l’università risulterebbe al primo posto nella classifica degli enti pubblici in cui l’utilità percepita della trasparenza è maggiore, al tempo stesso essa si ritrova all’ultimo posto per quel che riguarda l’aggiornamento automatico dei dati, vale a dire “la standardizzazione dei flussi informativi”.

Se da un lato, dunque, c’è una forte richiesta di trasparenza e legalità, che risulta essere maggiore negli ambienti universitari, dall’altro è proprio l’università ad essere l’ente pubblico meno pronto e preparato ad esaudire tale richiesta. Un circolo vizioso, questo, che non solo rischia di ripercuotersi sugli studenti stessi in termini di istruzione e formazione, ma soprattutto rischia di incidere sulla qualità della prossima classe dirigente di questo Paese.

Giovanni Dato -ilmegafono.org