In Italia sono davvero tante le persone che, a causa del loro lavoro, si ritrovano inghiottite da un atroce incubo e finiscono nel mirino delle mafie. Alcune purtroppo si arrendono, lasciano vincere la paura e scendono a compromessi con la propria coscienza, con ciò che è giusto, preferendo pagare il “pizzo” a fronte di un alito di sicurezza. Altre no. Si armano di tanto coraggio e fanno quello che dovrebbe essere considerato quasi un “atto dovuto”: denunciano le estorsioni mafiose e collaborano con la giustizia, il più delle volte aiutando gli inquirenti ad assicurare alle patrie galere dei criminali.

È stata questa la scelta di Rocco (conosciuto dai più come Riccardo) Greco, un imprenditore di Gela, titolare della ditta COSIAM, che nel 2007 denunciò i propri estortori e convinse altri 7 imprenditori della zona a fare altrettanto. Da queste testimonianze partì l’operazione “Munda Mundis”, che si concluse con severissime condanne per gli estortori, per un totale di oltre 130 anni di reclusione, e che smascherò il sistema di infiltrazioni mafiose che si annidava nella gestione dei rifiuti nel gelese. Un’importantissima operazione che fu festeggiata come una grande vittoria dall’allora sindaco di Gela, Rosario Crocetta, e che si sperava potesse portare ad un riscatto dell’intera zona dal giogo mafioso.

In pochi pensavano che invece avrebbe portato solo numerosi problemi agli imprenditori che avevano denunciato, finiti successivamente in un distorto ingranaggio dell’apparato giuridico. Come purtroppo non di rado capita, infatti, i mafiosi condannati accusarono Greco e gli altri imprenditori di non essere affatto loro vittime bensì “soci in affari” e che non avrebbero pagato il racket ma avrebbero collaborato con i mafiosi allo scopo di dividersi gli utili. Accuse infamanti che Rocco Greco, confidando nella giustizia, ha cercato di sradicare dalla propria persona e dalla propria figura professionale nelle sedi legali, ottenendo, in suo favore, una piena assoluzione.

Il proscioglimento purtroppo non è però stato sufficiente ad evitargli la misura dell’interdittiva antimafia perché Greco, secondo il Viminale, pur essendo una vittima, “aveva accettato il prezzo del pizzo” divenendo dunque soggetto a “rischio di nuove infiltrazioni mafiose nell’azienda”. Una misura altamente pregiudizievole per l’attività del signor Greco che, nei mesi successivi, ha visto revocare tutte le commesse pubbliche e private alla propria ditta malgrado tutti i suoi tentativi di ricorso.

Una situazione paradossale quella di Rocco Greco: da eroe antimafia ed esempio di lotta al racket, in una zona ad alta incidenza mafiosa, diventa colpevole e rimane marchiato malgrado una sentenza lo avesse sollevato da qualunque responsabilità. Ed infine diventa vittima di quello stesso Stato che aveva difeso con le proprie denunce.

Lo scorso 27 febbraio, infatti, Rocco, che negli ultimi giorni ripeteva alla moglie che denunciare i boss gli era costato caro e diceva “il problema sono io, se vado via, i miei figli sono a posto”, si è recato presso i locali della propria azienda e si è sparato un colpo di pistola alla tempia. Quando un uomo si trova con le spalle al muro, senza riuscire ad individuare altra soluzione che rinunciare alla propria vita, è sempre una tragedia, ma se le spalle al muro gliele ha inchiodate una scelta meritevole, un atto di coraggio, ed al contempo una fiducia mal riposta, la tragedia assume proporzioni davvero inaudite.

“Lo Stato, forse, ha fatto più danni di quanti ce ne abbiano fatti i mafiosi”, è stato il commento angosciato del figlio Francesco, il quale ha aggiunto però che, in linea con gli insegnamenti del padre, nonostante la loro atroce esperienza, consiglierebbe sempre a tutti di denunciare. “Il suicidio del signor Greco ci ha aiutati a riflettere sull’accaduto – dichiara a ilmegafono.org Ignazio Cutrò, altro imprenditore simbolo della lotta al racket – ed è stato probabilmente dettato da un momento di fragilità umana ma anche dall’incapacità delle istituzioni di sostenere pienamente gli imprenditori ed i commercianti. Si muore perché le mafie vogliono rubarti la speranza, ma si muore anche perché ci si sente schiacciati da uno Stato incapace di comprendere e sostenere fino in fondo la tua scelta di ribellione alle mafie”.

“I pensieri brutti purtroppo passano per la mente – ha aggiunto con voce amara Cutrò- e vengono perché ti senti abbandonato da uno Stato ingrato, ma si deve cercare di continuare a lottare per i propri cari, per i propri figli”. Uno Stato irriconoscente e incapace di difendere chi per lui si sacrifica, un quadro davvero inquietante che di certo non favorirà nuove denunce, non consentirà una lotta al crimine senza remore.

Già da domani sarebbe il caso che le istituzioni si fermassero un po’ a riflettere, snellendo subito i procedimenti previsti in favore degli imprenditori antiracket, aumentando le risorse destinate alla loro protezione e trattandoli sempre da cittadini coraggiosi e mai da colpevoli. Da domani, perché oggi forse ci si dovrebbe fermare un attimo e chiedere semplicemente scusa a Rocco Greco per averlo fatto sentire finito e senza alternative.

Anna Serrapelle-ilmegafono.org