John Wesley non era un tipo comune. Da piccolo venne tirato fuori da una canonica in fiamme: fu salvato per miracolo, e questa cosa del miracolo non se la tolse più dalla testa. Certo, era il millesettecento pieno e in quanto a fervore religioso il mondo era ancora esaltato, coi papi che incoronavano i re. Ma Wesley non era un tipo di facile esaltazione. Quadrato, piuttosto: studiò tanto e pare che venne su con un carattere forte, capace di farsi ascoltare. In giro parlava di Dio, e sapeva parlare bene. Lì, in Inghilterra, la rivoluzione industriale faceva circolare quattrini ma pure fumi scuri come vapori di pece, e cattivi odori, con l’aria nera a fare scopa con le acque del Tamigi, e se c’era chi si arricchiva, in mezzo alle macchine, c’era pure chi ci moriva, di ricchezza altrui.

Wesley, a Oxford, lo vedeva tutti i giorni. Così prese un gruppo di studenti e suggerì, in maniera parecchio persuasiva: “Facciamo che al mattino studiamo la Bibbia, poi preghiamo e alla fine andiamo in giro a dare una mano a quei poveri disgraziati che vediamo per strada, e visitiamo pure il carcere”. Magari non usò proprio queste parole, ma la cosa funzionò. I ragazzi lo facevano, seguivano il suggerimento nell’ordine che aveva detto: Bibbia-Preghiera-Aiuto. Si rivelò un buon metodo. “Metodisti” li chiamavano per prenderli in giro, ma alla faccia delle malelingue non si diedero per vinti: oggi sono diventati settanta milioni. Fedele più, fedele meno. I metodisti sono una branca dei protestanti, evangelici e fortemente spirituali. L’attenzione verso i problemi sociali, però – che è ciò che li caratterizzò alla nascita – non l’hanno persa.

Anzi. A Claremont, in California, hanno messo in piedi una sacra rappresentazione che sta diventando una sorta di manifesto d’intenti: San Giuseppe, la Madonna e il bambinello se ne stanno ognuno dentro una gabbia, e sono gabbie che richiamano senza troppi fronzoli quelle sparse al confine fra Stati Uniti e Messico, dove madri, padri e bambini vengono divisi e rinchiusi come pollame in attesa della macellazione.
Pare che l’amministrazione Trump abbia tolto quasi un migliaio di bambini ai genitori, con questa formula delle gabbie di confine: al grido di “tolleranza zero” succede che, scattato il 21° giorno di detenzione, per chi ha tentato di varcare il confine da fuggiasco, i bambini vengono strappati alle famiglie, perché rispetto agli adulti non possono essere tenuti dentro per più di tre settimane. Quel “tolleranza zero” tutto americano è un punto e una figura – diremmo a Catania – coi nostrani “prima gli italiani” e “affondiamo i barconi”. Preciso. Preciso a quel “la nave dev’essere affondata” che è stato detto in riferimento alla Sea Watch, qualche mese fa, dalla madre cristiana Giorgia Meloni.

Lo so, a leggere “Giorgia-madre-cristiana” il sorriso affiora sulle labbra, s’allarga, e la testa magari dondola impercettibilmente seguendo mentalmente il battere di basso e batteria. Quanto abbiamo riso con la hit “Io sono Giorgia”, eh? Quanto ci siamo divertiti, ’a virità? – chiederemmo sempre a Catania. Solo che ridendo così abbiamo fatto della Meloni una macchietta, un fumetto, la copia social-demenziale di Cristina D’Avena che ci delizia con “Pollon”. L’abbiamo svuotata dal significato buio, profondo, nero come l’aria di Londra e le acque del Tamigi nel millesettecento. Quel “cristiana” accanto a quel “va affondata” è un ossimoro terrificante, e ridendo sul motivetto del web lo abbiamo alleggerito, reso impalpabile. Giorgia, alla luce della volontà d’affondare la barca, non è che abbia granché di cristiano. Il dio cristiano accoglie, quello suo respinge. Come quello di Trump. Chiudono la gente nelle stesse gabbie, e noi che facciamo? Reagiamo agitando la testa e sorridendo.

No, ok, non è che non ci indigniamo e non lo diciamo. Ci indigniamo, sì, ma la testa la agitiamo lo stesso. Altrimenti non prenderemmo a ridere Salvini che fa la guerra alla Nutella perché le nocciole sono turche. Cosa volete che freghi a Salvini delle nocciole turche? La Nutella la mangia uguale, come beve i moijto col rum cubano, ma chi ha coltivato il suo consenso online sa che con un’uscita del genere fa il picco nuovamente, mentre le sardine erodono like. E tutto questo, questa simpatia di rimbalzo che ci fa sorridere, sgonfia quell’ossimoro, rende più accettabile quei “prima gli italiani”, “affondiamo i barconi”, “tolleranza zero”.

Così lo schiaffo che ci danno i metodisti di Claremont ha un senso, ci toglie quel sorriso, anche se solo per un attimo. Vedere il Natale ingabbiato fa il suo effetto. Dovremmo averne di più, di Natale in gabbia. Prendere più schiaffi. Non è solo in Canada, certo, che vengono allestiti presepi dal forte simbolismo contemporaneo, ma è solo quello canadese che ha fatto il giro di tv e giornali sul globo, perché ha osato di più, perché ha strappato con più forza il velo all’ipocrisia dei cristiani da urna elettorale. E manco c’hanno pensato a mettere le pecore, nella natività di Claremont: in giro ce ne sono già troppe.

Seba Ambra -ilmegafono.org