“Le donne e i bambini non si toccano”. Recita così una legge falsa delle mafie. Codici d’onore, uomini d’onore, la mafia non tocca donne e bambini, i mafiosi hanno regole ferree, sono tutte parole che corrispondono a miti fasulli di un mondo criminale che Peppino Impastato definì, senza troppi giri di parole, “una montagna di merda”. L’associazione Libera ha contato 109 bambini vittime innocenti delle mafie. Mafie che non seguono affatto codici d’onore, se non quello dei propri interessi. Mafie che non guardano in faccia nessuno, in nome del raggiungimento dei loro sporchi obiettivi, finalizzati a diffondere la cultura della paura, della morte e della sottomissione. La vittima più piccola si chiamava Caterina Nencioni, di soli 53 giorni, uccisa con la sorellina Nadia, di otto anni, nell’esplosione di via dei Georgofili a Firenze nel 1993.

Valentina Guarino, invece, aveva solo sei mesi quando una pioggia di proiettili è cascata addosso al suo corpicino nel 1991 a Taranto. Giuseppe Bruno aveva diciotto mesi quando veniva ucciso a Seminara, in Calabria, mentre giocava sulle spalle del suo papà, bersaglio dell’agguato. Le mafie hanno sempre ucciso i bambini e i ragazzini. Il libro “Al posto sbagliato” di Bruno Palermo (editore Rubbettino), pubblicato nel 2016, raccoglie le storie delle piccole e giovani vittime, in ordine cronologico. Nel tragico elenco si trova anche Giuseppe Letizia, 13 anni, probabilmente avvelenato in ospedale dopo aver assistito all’omicidio di Placido Rizzotto. Nel film di Pasquale Scimeca si racconta la storia dell’assassinio del sindacalista Rizzotto e, in una scena, si vede proprio il piccolo Giuseppe Letizia, nelle campagne corleonesi ad accudire il proprio gregge, mentre assiste all’omicidio, per poi essere avvelenato in ospedale.

E ancora Pinuccia Utano, 3 anni, raggiunta da un proiettile mentre dorme sul sedile posteriore dell’auto del suo papà. Freddata nella notte, proprio come Annalisa Angotti, 4 anni, uccisa dall’esplosione di un’auto parcheggiata davanti alla sua casa delle vacanze di Siculiana, Agrigento. Tanti, troppi bambini uccisi. Nel 2021, Valeria Scafetta pubblica “Storie di vittime innocenti di mafia”, 16 storie di bambini e ragazzi uccisi dalla mafia raccontati in un libro, edito da BeccoGiallo Editore. Anche in questo caso storie di bambini e bambine, ragazzi e ragazze uccisi da cosa nostra, dalla ‘ndrangheta, dalla camorra, dalla sacra corona unita, dalle mafie. Perché ci sono anche gli adolescenti tra le vittime. Come Emanuela Sansone, uccisa nel 1896 a 17 anni, a Palermo, mentre si trovava nel negozio di famiglia. E come Emanuele Riboli, di 17 anni, figlio di un imprenditore del varesotto, sequestrato nel 1974, avvelenato e dato in pasto ai maiali.

Come dimenticare poi la storia del piccolo Giuseppe Di Matteo, prima strangolato da Giovanni Brusca e poi sciolto nell’acido per ordine della mafia corleonese, che doveva punire il padre del bambino, colpevole di aver scelto di collaborare con la giustizia. «All’inizio urlava: “Papà mio, amore mio”», ha raccontato il pentito Gaspare Spatuzza in aula chiedendo perdono per l’atroce fine del bambino. «Poi l’abbiamo legato come un animale e l’abbiamo lasciato nel cassone. Lui piangeva, siamo tornati indietro perché ci è uscita fuori quel poco di umanità che ancora avevamo», ha ricordato. Il bambino era terrorizzato. «Ci chiamò dicendo che doveva andare in bagno – ha continuato Spatuzza – ma non era vero. Aveva solo paura. Allora tornammo indietro per rassicurarlo e gli dicemmo che ci saremmo rivisti all’indomani, invece non lo rivedemmo mai più».

Chi continua a ripetere, ancora oggi, che la mafia, vecchia e/o recente, rispetta o ha rispettato donne e bambini, mente e mentendo continua a uccidere, ogni giorno, ogni momento, ogni secondo, questi bambini e queste bambine, a volte colpevoli solo di trovarsi nel posto e nel momento sbagliati. La fotografa Letizia Battaglia, recentemente scomparsa, conosceva quelle storie, alcune le ha fotografate, ha sofferto, ha pianto, ha denunciato fino alla fine dei suoi giorni. “Abbiamo fatto di tutto – ha detto – con passione, per lottare contro questa brutta bestia che era e che è la mafia. Ma da soli cosa avremmo potuto fare? La mafia esiste da 100 anni. Come mai lo Stato non è mai riuscito a debellarla? Perché era connivente. Noi non potevamo difenderci da soli.  Perché tante persone sono morte? Perché abbiamo dovuto vivere nel sangue, con i bambini ammazzati dai mafiosi, con i giudici, i giornalisti, i medici uccisi perché si opponevano alla mafia? Hanno ucciso i migliori della nostra città e lo Stato non ci ha difeso. È ora che questo Stato ci difenda. Noi non vogliamo mafia e delinquenza. Non la vogliono nemmeno quelli che stanno zitti e non si immischiano”.

Non possiamo più stare zitti, non si può stare zitti. Per il rispetto che dobbiamo portare a noi stessi e a tutte quelle persone che non ci sono più. Per il rispetto che dobbiamo a tutti quei bambini e bambine, a tutti quei minori che sono stati annientati da uomini del disonore e della vergogna. Mi torna in mente una frase del Piccolo Principe di Antoine de Saint-Exupéry che risuona come una eco venuta da lontano e ogni voce, ogni piccola voce portata dal vento delle montagne o dal vento che proviene dal mare, sembra quella di un bambino o di una bambina che la mafia ha ucciso nel sangue: “Gli adulti da soli non capiscono niente, ed è stancante per i bambini dover sempre spiegare tutto”.

Vincenzo Lalomia -ilmegafono.org