L’Italia ai tempi del Covid-19 è l’Italia di sempre, purtroppo. Un Paese composto per fortuna da tanti che si impegnano in prima linea, lavorando sodo, andando oltre il proprio orario di lavoro e i propri compiti per rispondere a un senso di responsabilità e a una dedizione personale che sanno di eroismo civile, quello vero e non retorico. Ma anche un Paese che, a fronte di questa parte di responsabili, deve purtroppo fare i conti con un’altra parte composta da irresponsabili, da cittadini incapaci di razionalità e di buon senso, che magari sono gli stessi che in tempi normali abboccano a qualsiasi esca politica, mediatica, propagandistica. La paura sembra essere il vero motore di questa nazione. Sia chiaro, la paura è un fattore da non snobbare mai, da considerare, da affrontare, ma con la ragione, con la volontà di vincerla questa paura e trasformarla in coraggio responsabile.

La narrazione mediatica di questo virus, in Italia, è stata pessima, soprattutto nella prima fase. Abbiamo lasciato che parlassero tutti, abbiamo occupato ogni spazio di questa narrazione con la paura, con immagini che suggerivano un assedio, un irrimediabile stato di pericolo, l’imminente fine della nostra esistenza. Il panico ha prodotto mostri e come sempre ha creato fazioni, illogiche e insensate. Superficialità da un lato, panico dall’altro. Chi stava in mezzo a predicare calma, invitando ad ascoltare solo medici ed esperti e non gli opinionisti o i conduttori tv, evitando di farsi terrorizzare ma al contempo cercando di non essere superficiali, è stato criminalizzato. Lo spettacolo che è stato offerto, comprese le zuffe tra alcuni virologi, ricalca il triste canovaccio del quotidiano dibattito pubblico in Italia, dove ragionare su un tema collettivo è diventato impossibile già da molto tempo prima del Covid-19. Tuttavia, questo virus ci sta insegnando qualcosa che dovremmo cercare di non dimenticare.

Innanzitutto, conferma che siamo un popolo in parte capace di tirar fuori il meglio nelle difficoltà, ma in gran parte siamo anche un popolo sempre più fragile culturalmente. Il virus ci insegna poi che la nostra poca voglia di rispettare delle semplici regole, cosa che spesso presentiamo come un pregio scherzandoci su, è in realtà un’odiosa abitudine. Oggi anche piuttosto pericolosa. Le orde di giovani nei locali della movida di molte città, nonostante gli inviti a non assembrarsi giunti dal governo e anche da molte celebrità, sono una delle fotografie più avvilenti della nostra condizione civile. Così come la fuga da Milano, dopo la notizia della chiusura della Lombardia, con tanto di folle oceaniche dentro lo spazio chiuso di una stazione, sono il certificato di malattia del nostro senso civico. Lo stesso vale per coloro che sono scappati o rientrati in altre regioni senza denunciare la propria presenza e per di più uscendosene beati la sera a frequentare i locali aperti come fosse una sorta di vacanza fuori stagione.

Per non parlare delle folle che hanno pensato che fossimo davanti alla fine del mondo e che, la notte dopo l’ultimo provvedimento che estendeva a tutto il Paese le restrizioni, ha pensato di assieparsi davanti ai supermercati notturni, in barba al divieto di assembramenti e ai rischi di contagio. A questo si aggiungano quelli che non riescono a non rinunciare al complottismo, interpretando i provvedimenti necessari alla tutela della salute pubblica, vista l’incapacità degli italiani di obbedire a delle regole essenziali, come una manovra autoritaria contro i diritti in generale, una manovra addirittura dettata dalle forze sovraniste che avrebbero espugnato il governo. Infine, ci sono i polemici per contratto, gli ipocriti e i bugiardi, come quei leader politici che fingono di essere responsabili e invece mordono come sciacalli, usando questa situazione per cercare di buttare giù il governo e guadagnare consensi.

Al di là degli errori di comunicazione, legati anche a una situazione imprevista e difficile, il governo ha agito con responsabilità, a differenza di molti Paesi europei e della stessa Unione, ancora incapace di rendersi conto dei rischi. Nonostante questo, litighiamo tra noi, perché siamo un popolo che non sa rinunciare nemmeno a una delle sue attitudini peggiori. Non accettiamo facilmente le regole, ci lamentiamo per le decisioni e abbiamo bisogno di una stretta per comprendere che in questo momento non ci sono alternative allo starsene chiusi in casa.

Il virus ci sta aggredendo ma non è quello più pericoloso per la nostra sopravvivenza. Quello più pericoloso è rappresentato da noi stessi, da quegli italiani medi che includono un’ampia fetta di Paese, compresi coloro che pensano di essere diversi e di non appartenervi. Il Covid-19 è meno pericoloso di una cultura avvezza all’aggiramento delle regole, all’esaltazione di quell’aggiramento considerato come un atto di furbizia, intelligenza, scaltrezza. Siamo il Paese che guarda male chi rispetta una regola, chi rifiuta l’irrazionalità, chi la paura la gestisce con buon senso, responsabilità e comportamenti virtuosi. Siamo il Paese che si lamenta ma non riflette, non comprende quello che questo virus sta mostrando. Come ad esempio un sistema sanitario pubblico che resiste e regge ma che andrebbe potenziato e difeso, irrobustito e non smontato e colpito con continui tagli.

Il virus mette a nudo poi i rischi gravissimi ai quali, ad esempio in Sicilia, ci ha esposto quella riorganizzazione della sanità che ha portato al ridimensionamento o alla chiusura degli ospedali nell’isola, per avvantaggiare interessi privati che spesso, come hanno dimostrato le inchieste, favorivano rampolli o fiancheggiatori di cosa nostra. Il Covid-19, infine, ha dato una lezione pesante ai razzisti di questo Paese e in generale alla gente che straparla sui migranti, perché ci ha fatto vedere cosa significhi essere rifiutati da altri Stati. Non solo, ha fatto capire anche che, se la sola prospettiva di rimanere chiusi in una città o regione, con il rischio di un possibile contagio, ha spinto molti italiani a scappare, assaltando treni o pagando addirittura 1200 euro per un taxi che da Milano conducesse a Roma, forse non è poi così strano se altre persone, in altre zone del mondo, terrorizzate dalle bombe che cadono sulla loro testa e sfiancate dalla miseria e dalle carestie, decidono di affrontare il deserto e il mare per salvarsi.

Ecco, magari adesso gli italiani comprenderanno che chiudere le porte agli altri significa chiuderle a noi stessi, perché può accadere a tutti e per motivi diversi di trovarsi dall’altra parte. Il Covid-19 ci ha dato parecchie lezioni, anche sulla inadeguatezza della nostra informazione, sulla fragilità del nostro sistema economico e sulla tutela dell’ambiente e dei suoi equilibri (di cui si parla troppo poco). Chissà se gli italiani sono in grado di comprenderle davvero queste lezioni e assimilarle al punto da ricordarsene quando l’emergenza sarà finita. Su questo solo il tempo potrà darci una risposta.

Massimiliano Perna -ilmegafono.org