La vicenda dei genitori dell’ex premier, Matteo Renzi, è stata commentata con molta misura dalla maggioranza di governo (fatta eccezione per l’’elegante Giarrusso…). Nelle ore dell’uscita della notizia, c’è stato un immediato richiamo, rivolto ai propri militanti e alle basi, a non festeggiare, a non gioire. Un appello a non assumere posizioni di accusa e ad attendere l’esito che verrà fuori dal lavoro della magistratura. Una commovente ondata di garantismo. Una vera rarità che stona enormemente con il passato delle due forze di governo, Lega e soprattutto 5 Stelle, con i Vaffa Day e le consuete posizioni forcaiole ed estremamente giustizialiste. Tutto cambiato, tutto improvvisamente attenuato. Come mai?

In politica nulla è casuale e nessun cambiamento repentino è reale. Ed è ovvia la ragione di questo atteggiamento, così come è ovvio il suo tempismo. Nelle stesse ore della misura cautelare nei confronti di Tiziano Renzi e della moglie, il Movimento 5 Stelle era impegnato con la votazione online per conoscere il pensiero dei propri elettori (o meglio di una parte esigua) sull’autorizzazione a procedere contro Matteo Salvini. Sulla piattaforma Rousseau, tra sistema in tilt e quesiti costruiti in maniera grottesca, ha vinto il no, o meglio, il sì. Cioè, in poche parole, la base del Movimento, quella dell’uno vale uno e del giustizialismo inossidabile, ha scelto di impedire al Tribunale dei ministri di portare a processo il ministro dell’Interno, accusato di sequestro di persona e abuso di potere per la nota vicenda della nave Diciotti.

Un esito tutto sommato previsto, tranne da coloro i quali credono ancora alla favola del movimento libero e avverso alla casta. Un esito pressoché scontato e che forse porterà a qualche ulteriore perdita di consensi, ma che di certo assicurerà, per il momento, le amate poltrone ai ministri e ai parlamentari pentastellati. Il voto in Commissione ne è stato la conseguenza. La base, in questo caso, si ascolta. Questo il diktat dei grillini. A differenza di altre volte, quando non sono state ascoltate le lamentele dei militanti per alcune scelte, come quelle sulle trivellazioni e sul Tap o sull’Ilva, completamente opposte alle vecchie promesse elettorali.

Oggi, il movimento è cambiato. È entrato nel sistema, è esso stesso sistema. Rigido, chiuso, calcolatore, asservito allo strapotere mediatico di un alleato, per il cui successo i pentastellati lavorano quotidianamente. Al punto che certe tesi fantapolitiche lette in queste settimane (come questa del prof. Bellelli) cominciano a sembrare meno improbabili. Qualcuno sostiene che il Movimento 5 Stelle abbia perso la sua anima. C’è chi si dice sconvolto, chi si mostra infuriato, chi deluso. Sorge però una domanda: ma davvero questo movimento, che ha puntato tutto sul malcontento antisistema e che oggi, per ricordarsi le sue origini, prova a flirtare con soggetti ambigui come i Gilet gialli, ha perso l’anima? Siamo sicuri che ne abbia mai avuta una?

Il garantismo ipocrita sul caso Diciotti -Salvini è solo l’ultimo passo di un percorso vuoto, un andamento da umile servitore che, di tanto in tanto, mentre il padrone è di spalle, gli bisbiglia un’offesa o gli fa la mossa dello schiaffo ridacchiando per esser riuscito a non farsi scoprire. Per poi tornare a temerlo e servirlo sommessamente. Ma non è solo un problema di governo e parlamentari. Siamo sicuri che la base stessa dei 5 Stelle, da troppi romanticamente descritta come una massa di brave persone deluse dalla sinistra e spinte al voto da una disperata speranza, sia realmente così pura e incontaminata?

Quello che appare, a guardarli con occhi critici e storici, è un nugolo di persone con una precisa idea, con la voglia e l’ambizione di entrare nel sistema, di riuscire a farne parte, di plasmarlo a proprio piacimento, in barba a regole e interesse collettivo, e soprattutto di trovare uno spazio, indipendentemente da competenza e valori. Insomma, come se il movimento fosse un anticipo concreto del reddito di cittadinanza, ma con meno paletti se non quello di obbedire alla linea, anche quando violenta i principi ai quali dice di richiamarsi. Sia chiaro, non è che gli altri partiti siano messi meglio o brillino per individui capaci e puri, ma la differenza è che i 5 Stelle questa presunta purezza l’avevano resa una loro bandiera esclusiva.

Molti, fra osservatori e avversari politici, ritengono che la rinuncia alla linea giustizialista sarà per i pentastellati l’inizio di un declino inarrestabile. Non ne sarei così convinto. La base dei 5 Stelle, ormai, è in buona parte omogenea e sui social sposa la linea di questo governo su molti temi, a partire dalle posizioni sui migranti e sull’Europa. È composta anche da elementi estremisti che votano per il Movimento 5 Stelle, per avere un riferimento politico capace di avere i numeri per partecipare alle dinamiche di potere.

Nel valutare i 5 Stelle, si potrebbero scrivere molte cose sulla coerenza discutibile di chi accusava e accusa le Ong senza uno straccio di prova (dimenticando che i bilanci e le condotte sono state indagate per due anni da più procure senza che emergessero le irregolarità supposte) e poi oggi impedisce a una procura di indagare su un ministro. Peraltro per un reato odioso e grave che non è contemplato nelle possibilità di deroga alla legge in nome di un interesse nazionale. Potremmo spendere fiumi di inchiostro per calcare la mano sulla frattura tra l’antico pensiero di chi affermava che la legge è uguale per tutti e che la casta e i suoi privilegi (per prima l’immunità) andavano abbattuti e poi oggi si pone come quella casta e ne difende gli appartenenti. Ma non ha alcun senso, perché siamo davanti a un popolo disabituato a pensare. Un popolo incattivito che ha smarrito una certa indipendenza di pensiero.

Il clima di tifoseria sta nutrendo un sentimento di arroganza che impedisce di cambiare direzione e di agire in nome dell’interesse collettivo e non di una singola parte. Così i 5 Stelle rimangono fedeli alla linea, non quella immaginaria disegnata quando dovevano scalare il potere, puntando il dito su tutto e tutti in nome di una falsa verginità, ma  quella concreta, reale, politica di chi oggi è parte integrante di quel potere e ne replica gli schemi. La gente forse li mollerà solo perché la contraddizione palese fa il paio con la debolezza e l’assenza di leader riconosciuti. Ma questo distacco comporterà uno spostamento verso ciò che più somiglia ai 5 stelle e dimostra maggiore abilità nel tacere le proprie identiche contraddizioni e debolezze. Vale a dire quella Lega capeggiata da chi mistifica la realtà con sfacciataggine.

La Lega di quel Salvini che, dopo aver lasciato che a San Ferdinando si morisse ancora, vomitando nel frattempo slogan e non attuando alcun intervento a tutela della vita dei lavoratori, si permette di attaccare le vittime. Fa cioè antipolitica essendo lui stesso il vertice di quella politica. In questo riesce a spuntarla grazie a un popolo sempre più inetto. Che plaude, credendo alle bugie spaziali di un ministro che, a parte una certa furbizia e una macchina propagandistica agguerrita, è nullo. Non fa, non si interessa delle priorità, non lavora abbastanza e non tocca i veri colpevoli del malaffare.

Un ministro che tremava dinnanzi alla possibilità di essere processato, passando in fretta dall’atteggiamento di sfida alla pietosa elemosina dell’immunità, e che oggi, grazie ai 5 Stelle e alla loro nuova vena garantista (e all’amore per le poltrone), torna a mostrarsi forte. Come un padrone, che ha nuovamente sferzato, con successo, i suoi fedeli maggiordomi.

Massimiliano Perna -ilmegafono.org