Ankara, luglio 2016. Un venerdì notte, mentre il mondo è ancora scosso dall’orrore di Nizza, la Turchia balza davanti agli occhi del mondo e tiene tutti con il fiato sospeso. Colpo di Stato. Militari in piazza, carri armati, spari, scontri. Erdogan, il presidente reazionario, l’uomo feroce e autoritario e scomodo amico dell’Occidente, sembra essere in difficoltà, vicino all’epilogo suo e del suo potere. La Turchia, così han detto tutti gli osservatori in quei momenti drammatici, vuole tornare alla sua laicità, vuole abbandonare le politiche che l’hanno portata indietro nel tempo. La Turchia, invece, alla fine della nottata, si trova spinta verso la direzione opposta, lanciata con ancora più violenza nel burrone di un autoritarismo spietato, con un rafforzamento bestiale di chi sta al comando del Paese.

Per Erdogan il golpe è stato una manna dal cielo, il pretesto ideale per derogare a qualsiasi principio democratico e calpestare sempre più liberamente i diritti umani che tanto lo infastidiscono. Liberarsi degli oppositori con la scusa del golpe è fin troppo semplice. Al punto che non ci si preoccupa nemmeno di nascondersi e di nascondere le violenze, le umiliazioni. C’è un obiettivo preciso: quello di “educare” gli oppositori e al contempo alzare la posta con tutti quegli stati, USA in primis, che intrattengono rapporti con la Turchia e che oggi si trovano in un imbarazzo che ha del paradossale. A dire il vero, come sempre, i più imbarazzati sono gli europei, soprattutto l’Italia, che con il suo premier, un istante dopo il fallimento del golpe, ha espresso un frettoloso “sollievo”.

Non ha avuto nemmeno la decenza di attendere, Renzi, prima di esprimere una posizione che, alla luce dell’attuale situazione, risulta agghiacciante. Oggi fa davvero rabbrividire quel “sollievo” dinnanzi a una “resistenza” del potere che, come conseguenza, ha avuto decapitazioni, violenze, umiliazioni. Le immagini che arrivano dalla Turchia e che ritraggono i soldati nudi, ammassati e legati, le carcerazioni di poliziotti, civili, giudici, militari, insegnanti, studenti, le punizioni annunciate, le limitazioni alla libertà, la pena di morte non esclusa: tutto ciò è terrificante ma è perfettamente adeguato alla fisionomia del potere di Erdogan. Potere che già da tempo usa le maniere forti al suo interno. Per questo colpisce lo stupore dei governi europei che con il presidente turco hanno trattato sapendo bene chi fosse, accettandone i ricatti, chiudendo gli occhi sulle violazioni continue dei diritti umani.

Le foto colpiscono, è vero, ma forse avrebbero dovuto colpire ugualmente la violenza sui curdi e sulle opposizioni o i respingimenti dei migranti al confine siriano. Angela Merkel è stata la più dura riguardo all’attuale situazione turca e alle azioni illiberali e disumane che il governo sta compiendo. Anche gli USA, per bocca di Kerry, sono stati piuttosto spigolosi, soprattutto perché irritati dalle parole provenienti da Ankara sull’estradizione del nemico Gulen. Gli altri, invece, a partire dalla Mogherini, chiedono alla Turchia di non lasciarsi andare a derive antidemocratiche e di non pensare minimamente al ripristino della pena capitale se vogliono restare dentro il processo di adesione all’Unione Europa, ma non mettono in discussione l’amicizia con il paese ottomano e mantengono una certa “morbidezza” anche nei rimproveri.

Siamo al solito punto, quello noto: la Turchia viene richiamata ma nessuno si sogna di metterne in discussione il ruolo e i rapporti, perché strategica dal punto di vista geopolitico. Sembra quasi che l’indignazione per quanto sta accadendo sulla pelle e sulle vite dei golpisti sia solo una facciata. D’altra parte, i governi sono gli stessi che hanno voltato le spalle all’orrore subito da centinaia di migliaia di profughi, finanziando lautamente Erdogan per frenare i flussi migratori così da togliersi il problema semplicemente chiudendo gli occhi sulle ingiustizie e sulle morti. Che problema c’è se la Turchia compie al suo interno i massacri e le crudeltà più indicibili? Erdogan rimane lì e non avrà alcun problema a continuare a trattare e a fissare il prezzo con i suoi “alleati”. Con la differenza che all’interno sarà ancora più forte e inattaccabile e potrà provare a condurre la Turchia dentro a un tunnel pericoloso.

Genova, luglio 2001. Quindici anni fa, il G8 lasciava per terra un morto, Carlo Giuliani, un giovane che sperava in un mondo migliore. E lasciava le strisce rosse di sangue tra i pavimenti e i muri della Diaz. Nella caserma di Bolzaneto, poi, si sono vissute scene simili a quelle che vediamo oggi in Turchia: donne e uomini nudi, immobilizzati, costretti a subire umiliazioni. Solo che non esistono foto a testimoniarlo. I diritti umani, come è stato riconosciuto, furono sospesi per giorni. Dentro a luoghi di Stato, dentro quella che ancora oggi dovrebbe essere una democrazia.

In parte, anche noi siamo stati Istanbul e Ankara, ma non c’era un colpo di Stato in corso. Lo siamo stati per punire chi aveva un’idea di mondo diversa, chi credeva in un mondo migliore, pacifico, giusto, eguale. Ragazze e ragazzi, colpiti sulla base di una scelta politica. La logica è simile, anche se i contesti sono diversi e i metodi si sono fermati a un unico omicidio e alla tortura. Quella tortura che l’Italia, chissà come mai, ancora oggi non riesce a sottoporre a una legislazione specifica.

Ve lo ricordate com’era il mondo nel luglio 2001? Si parlava di Bin Laden, il movimento pacifista era forte, attivo, si scendeva in piazza, si facevano manifestava, si criticava il potere arrogante dell’amministrazione guerrafondaia di Bush. Non c’era ancora stato l’11 settembre. Pochi mesi dopo il mondo sarebbe cambiato nuovamente. L’Italia in quei giorni di luglio fece scempio dei diritti, lo fece di proposito, con la stessa arroganza, ma con maggiore furbizia, perché fece attenzione a tenere tutto chiuso dentro una caserma e una scuola. Quindi ha iniziato a lavorare ai depistaggi, ha reso le indagini complesse, ha negato, poi è stata costretta ad ammettere, ma solo in parte, che anche da noi i diritti umani sono trattabili a seconda dell’esigenza. Genova, Ankara, Istanbul, ma potrebbero essere anche Bodrum, Idomeni, Ventimiglia. Guantanamo.

Europa, Stati Uniti, Turchia. Sembrano luoghi così distanti, così divisi, adesso, da una indignazione estemporanea e da qualche reciproca accusa su un tema, democrazia e diritti umani, sul quale nessuno ha realmente la coscienza pulita. L’Europa ha per fortuna un elemento distintivo importante rispetto agli altri, ossia il rifiuto della pena di morte. Il rifiuto che un governo possa uccidere anche il suo peggior criminale. L’Italia, in questo, fu avanguardia. Oggi, la sua gente lo dimentica spesso. Di fronte a Erdogan, però, la sensazione è che nessun principio nobile varrà mai davvero, perché alla fine, come accade da anni, sarà sempre lui a ricattare e tutti gli altri a obbedire, incapaci di una politica estera coraggiosa e umana.

Incapaci di difendere un principio sacrosanto, come l’inviolabilità dei diritti umani, che dovrebbe valere sia al proprio interno, nello scorrere di democrazie che si autodefiniscono moderne, che alle frontiere esterne o nei paesi con i quali si è scelto di collaborare. La debolezza del mondo nei confronti della Turchia è avvilente. Una sindrome di Stoccolma inaccettabile e difficile da curare, visti i tempi. Erdogan è ancora lì, ancora più forte, qualcuno sbraita, si lamenta, lancia qualche avvertimento, ma poi nessuno alza il tiro, nessuno sbatte i pugni, nemmeno davanti all’orrore.

La chiamano Realpolitik, ossia il sacrificio di ogni ragione umana per interessi politici e sovranazionali. Un po’ come quando, in situazioni di enorme gravità, si deve fare irruzione per liberare degli ostaggi e ci si assume il rischio di perderne qualcuno pur di evitare il peggio. Ecco, gli ostaggi sono i turchi e i curdi all’opposizione. Il sequestratore è Erdogan. A quel sequestratore noi diamo soldi e appoggio. Basterebbe solo questo per capire come la situazione turca non prometta nulla di buono nel prossimo futuro. Ma non diciamolo troppo forte, non sia mai che qualche alleato si possa offendere. O possa perfino esprimere sollievo.

Massimiliano Perna -ilmegafono.org