Il mare restituisce sempre qualcosa, gli uomini che incontrano e vivono il mare ogni giorno lo sanno. I pescatori, per esempio. Per loro il mare è come un padre, qualche volta aspro come deve essere un padre che insegna a un figlio la fatica e la durezza della vita. Tante altre volte, però, quel padre diventa quella carezza che riesce sempre a farsi perdonare ogni asprezza. Così è il mare. Devi conoscerlo fino in fondo per capirlo, e dopo lo puoi solo amare. Sulla spiaggia di Steccato di Cutro il mare ci ha restituito qualcosa che era nostro e che noi non abbiamo saputo proteggere. Ha restituito le vite di chi ha creduto all’umanità degli uomini nonostante gli uomini, una fiducia che troppe volte gli uomini non meritano. Erano 200 migranti: di ogni età, minori non accompagnati, interi nuclei familiari. Il mare ne ha restituito novantaquattro. Ognuna di quelle vite è un atto d’accusa che pesa come un macigno da cui non si può scappare.

Il mare è saggio, conosce gli uomini e la loro fretta di dimenticare, per questo c’è un relitto che il mare di Cutro riporta a galla con la forza delle sue onde: dentro si sono tutte le promesse e le menzogne che l’Italia e l’Europa hanno raccontato in questi anni e che il mare riporta sulla spiaggia, per ricordarcele. È passato un anno da quella notte tra il 25 e il 26 febbraio 2023, quando il mare in tempesta è diventato la maschera vigliacca che serviva per nascondere una strage di Stato, una delle tante che questo Paese ha conosciuto. E il naufragio di Cutro, di fatto, è stata una strage di Stato, figlia delle scelte che questo Paese ha compiuto sull’immigrazione e ha condiviso con la pessima compagnia della parte più feroce di un’Europa accecata dalla sua stessa viltà. L’inchiesta penale farà il suo corso, ma fin dal primo momento è apparso chiaro come l’intera catena di comando politica e militare, italiana ed europea, fosse responsabile di quelle morti annunciate.

Un anno dopo, ricostruire la sequenza di quelle responsabilità operative spetta ai giudici, noi abbiamo invece un altro dovere: ribadire, una volta di più, le maledette responsabilità politiche di chi per anni ha costruito tutto il proprio consenso e il proprio potere politico sulla pelle dei migranti respingendoli, colpevolizzandoli e criminalizzandoli. Questo è il cuore del problema. La notte di Cutro lascia ferite che non si possono rimarginare. La prima di queste ferite è tutta nelle parole oscene del ministro degli Interni, Matteo Piantedosi, che il giorno dopo la strage scarica sui migranti la responsabilità della tragedia. L’assenza di ogni traccia di umanità e l’ego di chi ritiene di avere un’etica superiore, sono il primo approccio del governo italiano a questo dramma. Questo signore è lo stesso ministro che, a proposito dei migranti raccolti in mare dalle navi delle Ong, in una precedente occasione, li definiva come “il carico residuale”. E mentre il mare ancora restituiva corpi, il governo di Giorgia Meloni convocava il Consiglio dei Ministri proprio a Cutro.

È in quel CdM che nasceva il “decreto Cutro”, che per il governo aveva e ha lo scopo di punire duramente gli scafisti e governare i flussi migratori. La realtà raramente coincide con la narrazione e il decreto, convertito in legge n. 50/2023, pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale il 9 maggio 2023 e incattivito ulteriormente nel tempo, è diventato il fardello più pesante sulle spalle dei migranti, portando drastiche modifiche al Testo Unico sull’Immigrazione: ha peggiorato le condizioni, già critiche, sulla durata e sul rinnovo dei permessi di soggiorno; ha annullato di fatto la protezione internazionale ed il permesso per la protezione speciale (ossia proteggere la persona dall’espulsione o dal respingimento verso uno Stato dove possa essere vittima di persecuzione per motivi di razza, di sesso, di religione, di opinioni politiche…); ha ridotto ad un anno il periodo massimo di validità del permesso per i minori stranieri non accompagnati. Quel decreto ha limitato l’assistenza legale ai migranti, di fatto cancellandola.

Una delle conseguenze più terribili della legge è quella che scaturisce dall’articolo 10, che stabilisce il potenziamento dei Centri di permanenza per i rimpatri (CPR), autentici gironi infernali dove i cittadini stranieri attendono il provvedimento di espulsione e rimpatrio. Il periodo di trattenimento nei CPR in attesa dell’espulsione verrà in seguito dilatato a 18 mesi. Qualche mese più tardi, un decreto del Viminale introdurrà anche una garanzia finanziaria di quasi 5mila euro che il richiedente asilo dovrà versare per evitare di entrare nel Cpr in attesa dell’esito del suo ricorso al rifiuto dell’asilo richiesto. Oggi i CPR attivi in Italia sono dislocati a Bari, Brindisi, Caltanissetta, Gradisca d’Isonzo (Gorizia), Macomer (Nuoro), Milano, Palazzo San Gervasio (Potenza), Ponte Galeria-Roma, Torino e Trapani. Si tratta di autentici “Buchi neri” della legalità, centri di detenzione amministrativa per chi non ha commesso reati e che produce conseguenze devastanti per i migranti detenuti, privandoli anche dei diritti minimi garantiti dal codice penitenziario.

Eppure i CPR non solo non vengono chiusi, ma il governo impone di costruirne di nuovi. Quanto emerso dalle denunce di associazioni come NAGA e la rete “Mai più Lager-NO ai CPR”, dalle inchieste giornalistiche e da quelle giudiziarie anche recenti, ci autorizza pienamente all’utilizzo della parola “lager” per definire questi centri di detenzione. Un anno dopo la strage di Cutro niente è cambiato nelle politiche migratorie e di accoglienza. “Il naufragio di Cutro non ci ha insegnato assolutamente nulla”, racconta alla stampa Francesco Creazzo, ragazzo di Calabria, addetto stampa della ong Sos Mediterranee e imbarcato sulla Ocean Viking che, nella missione 32, ha salvato 71 persone sbarcate a Livorno il 2 febbraio di quest’anno dopo cinque giorni di navigazione.

Qualcuno ha trovato però il coraggio di disobbedire ad una legge sbagliata. È successo a Catania, nel settembre del 2023, quando la magistrata Iolanda Apostolico si è rifiutata di convalidare i provvedimenti di trattenimento emessi dalla Questura di Ragusa a carico di quattro cittadini tunisini richiedenti asilo, rilasciandoli e disapplicando il decreto Cutro, in base agli articoli 3 e 10 della Costituzione Italiana e ritenendo la Legge 50/2023 in contrasto con il diritto dell’Unione europea. Questo è il cuore del problema, ma le mani che hanno operato attorno a quel cuore sono tante. Ognuna di loro ha dato il suo ignobile “contributo”, per convinzione o per convenienza politica non fa differenza, ognuna di loro ha ignorato le possibilità di cambiare rotta. La legge Turco-Napolitano del 6 marzo 1998 è l’innegabile punto di partenza della pessima politica sull’immigrazione in Italia: sarà proprio quella legge a istituire la figura dei Centri di permanenza.

A cascata, la “legge 189” del 30 luglio 2002, meglio conosciuta come legge Bossi-Fini, e poi di seguito: gli accordi con la Libia del governo Gentiloni e dell‘allora ministro degli Interni, Marco Minniti; i “decreti sicurezza“ del ministro degli Interni, Matteo Salvini, durante il primo governo Conte; i successivi rinnovi degli accordi con la Libia; il nuovo “decreto sicurezza” del governo Meloni e del ministro degli Interni, Matteo Piantedosi; l’attacco volgare e continuo alle ONG. Dalla notte di Natale del 1996 al largo di Portopalo di Capo Passero al 3 ottobre 2013 a Lampedusa, fino alla spiaggia di Steccato di Cutro: davvero chi ha governato questo Paese in tutti questi anni pensa di essere in pace con la propria coscienza? Davvero pensa di non avere le mani sporche? La domanda vale per tutti. Lo Stato non c’era a Cutro, non c’è da molto tempo in quel Mediterraneo dove le navi delle ong quasi sempre sono la sola luce amica di chi affoga fra le onde, mentre lo Stato le allontana e le perseguita.

Sulla spiaggia di Steccato di Cutro, quella notte e nei giorni successivi, c’erano solo i pescatori: loro hanno fatto tutto quello che lo Stato non ha mai voluto fare. Il mare lo sa, per questo porta a riva quello che non può tenere per sé e lo affida a loro perché tutti sappiano, perché possano raccontarlo e guardare a testa alta quello Stato così vigliacco e incapace anche di vergognarsi di se stesso. I pescatori lo sanno, e quella notte non la dimenticheranno mai. Non sono certo loro a dover chiedere scusa.

Maurizio Anelli -ilmegafono.org