Informazione e comunicazione sono da sempre un aspetto fondamentale per chi governa. Il rapporto tra il potere e la stampa è cruciale dentro ogni democrazia, anche perché ne certifica il pieno compimento e la sua maturità. Nell’epoca dell’avanzata sovranista, le forze di destra che sono riuscite ad arrivare al potere vivono questo rapporto in maniera ossessiva, dando luogo a pericolose invasioni di campo e, infine, a vere e proprie occupazioni, nonché a interventi normativi molto pericolosi. Come sta accadendo in questo ultimo periodo, ad esempio, con l’Italia di Giorgia Meloni. A qualcuno piace Orbàn, potremmo dire, non per suggerire il titolo di future pellicole, ma per sottolineare il modello al quale l’attuale centrodestra italiano guarda con grande ammirazione.

L’Ungheria dell’autoritario amico Orbàn, quello al quale il governo Meloni consente di trattenere in una galera, senza alcuna ragione e in condizioni disumane, una cittadina italiana, evidentemente è considerata un esempio da seguire, anche sul piano della gestione della libertà di informazione. O meglio, della sua contrazione. In Ungheria, infatti, le leggi del governo hanno seriamente strangolato la libertà di stampa, favorendo economicamente e concentrando i media filogovernativi e costringendo alla resa, economica prima che politica, gli organi più critici e di opposizione. In Italia, sin da quando si è insediata al governo, la destra ha iniziato a lavorare all’occupazione di tutti gli spazi di informazione, oltre che quelli di promozione culturale, con l’obiettivo di procedere man mano anche ad assumere il controllo dei principali media, soprattutto quelli televisivi pubblici (visto che quelli privati, sicuramente tre dei più importanti, sono già in mano a una delle aree della destra).

C’è chi dice che sia un vizio italiano e assolutamente trasversale quello di occupare cultura e informazione non appena si conquista il potere, ma non è esattamente così. Le differenze contano. Nel senso, che se è vero che il servizio pubblico, la RAI per intenderci, è da sempre terreno di spartizione e conquista della politica (e sarebbe bello un giorno se questo malcostume finisse), è altrettanto vero che una forma di pluralismo è stata sempre garantita dalle forze oggi all’opposizione, mentre le epurazioni, gli editti, i licenziamenti, le chiusure dei programmi e le sostituzioni clamorose sono state una costante dei governi di destra o centrodestra che si sono succeduti negli ultimi trent’anni. Soprattutto, è innegabile che, sotto questo aspetto, l’attuale esecutivo stia toccando il fondo. Perché l’occupazione arrogante ed eccessiva degli spazi fa il paio con la scarsa qualità degli occupanti, con il basso spessore delle figure scelte per ricoprire i ruoli chiave, ad ogni livello.

D’altra parte, tutto ciò è coerente con lo “spessore” del ministro della Cultura, quel Sangiuliano che rappresenta perfettamente il modello Meloni. Un modello che punta tutto su un infantile sentimento di vendetta, usato come cura illusoria per un inguaribile complesso di inferiorità nei confronti degli avversari storici. Ma se le rivincite di Meloni sulla presunta “monopolizzazione culturale” della sinistra sono figlie di una frustrazione storica e radicata nell’anima fascista della destra di governo, la questione della gestione del rapporto con l’informazione è strategicamente e squisitamente politica ed elettorale. Il governo Meloni punta a controllare sempre di più l’informazione e a mettere il guinzaglio sul servizio pubblico, togliendo qualsiasi spazio al dissenso. Un’operazione che abbiamo già visto in questi mesi con le trasmissioni riempite di conduttori e giornalisti amici che esaltano il governo o ne ripropongono gli slogan (incluse alcune agghiaccianti affermazioni da Ku Klux Klan su stranieri e musulmani).

Lo abbiamo visto anche e soprattutto con i telegiornali della Rai. In particolare il Tg1, che offre quotidianamente un racconto a senso unico a favore del governo, con toni propagandistici e verità artefatte che lo fanno somigliare più a un cinegiornale di epoca fascista, al punto che persino il sonnolento PD si è svegliato e ha alzato la voce contro la faziosità del tg. Per non parlare poi di un altro colpo di mano alla libertà di stampa, come quella legge bavaglio che impedisce ai giornalisti di informare come si deve sulle vicende giudiziarie che coinvolgono il potere a ogni livello e i suoi rapporti con il malaffare, la corruzione, le mafie. Ma non è tutto, perché il governo adesso, spalleggiato ancora una volta dall’alleato ombra Italia Viva, in vista delle elezioni europee mette mano anche alla legge sulla par condicio, per abolire alcune norme che sono sacrosante e per rivedere le regole, ovviamente a favore di chi comanda. Addirittura escludendo chi occupa un ruolo istituzionale (premier e ministri) dall’osservanza di quelle regole.

In poche parole, se la premier interviene per parlare di questioni relative al suo ruolo, la sua apparizione televisiva non può rientrare nell’ambito della par condicio. Una genialata, non c’è che dire. E fa sorridere la falsa ingenuità degli esponenti di destra e delle loro fedeli penne al guinzaglio che fingono di credere a questa storiella degli interventi su “materie inerenti all’esclusivo esercizio delle funzioni istituzionali svolte”. Come se non conoscessimo Giorgia Meloni, Matteo Salvini e gli altri. Come se non sapessimo che i loro interventi istituzionali vengono sempre trasformati in slogan, in propaganda, in insulti ad avversari politici, giornalisti dissenzienti e a chiunque si trovi in posizione critica rispetto al governo. Le conosciamo le conferenze stampa trasformate in comizi elettorali, tra smorfie da macchietta e battute triviali.

Il governo Meloni, dunque, sta alzando il tiro e, mentre si commentano le sparate di Salvini o i saluti romani di qualche gruppo di nostalgici imbecilli, il fascismo moderno si sta subdolamente muovendo per cercare di riconquistare spazio e restringere i confini della democrazia. In nome di quel sovranismo di facciata che tanto di moda sta andando in Europa, un’Europa debole e incapace di arginare, con misure ad hoc e un cambio di direzione politica, chi solletica la pancia e le ferite aperte delle popolazioni. Un solletico fatto servendosi, in una prima fase, di un’informazione drogata, di menzogne strategiche e fake news diffuse attraverso la comunicazione social, e ora con la trasposizione politica e istituzionale di quella strategia.

Il tutto in un contesto terribile, come quello attuale, con i venti di guerra che soffiano da più parti e che favoriscono le forze populiste più allergiche alla democrazia. In Italia, le opposizioni sono incapaci, per ragioni interne, di fare da contrappeso, così come lo sono i sindacati, sempre più deboli e disuniti. Qualcuno, nel mondo della stampa, si oppone, protesta come stanno facendo Usigrai e comitato di redazione di RaiNews. Ma non basta. Perché chi vuole “orbànizzare” l’Italia è già avanti. Ha i numeri, i giusti complici (e una scarsa resistenza contro) per riuscire nell’impresa. Che se passasse il tentativo di introdurre il premierato sarebbe compiuta. Con un rischio assoluto per la tenuta democratica del nostro Paese.

Massimiliano Perna -ilmegafono.org