In Venezuela la situazione è disperata. Nel corso degli ultimi 20 anni, una gestione discutibile delle risorse e l’eccessiva ingerenza delle potenze straniere hanno portato il paese nel baratro di una crisi economica e politica senza precedenti. Juan Guaidò, dal 5 gennaio presidente dell’Assemblea Nazionale, il 23 gennaio si è autoproclamato presidente del Venezuela e ha dato il via ad una guerra fredda nei confronti del presidente in carica Nicolas Maduro. Giorno dopo giorno, la situazione rischia di precipitare nel sangue di una violenta guerra civile e gli enormi interessi legati al Venezuela hanno attirato l’attenzione sul conflitto da parte di tutte le grandi potenze economiche mondiali.

Per provare a comprendere i motivi della crisi venezuelana bisogna tornare indietro al 1998, quando Hugo Chavez vince le elezioni, dando vita al suo primo mandato e a quella che lui stesso proclama “quinta repubblica venezuelana”. A parte una piccola parentesi in cui il presidente fu destituito, Chavez rimase al potere fino alla sua morte, avvenuta nel 2013, indicando poco prima come suo successore, poi eletto, Nicolas Maduro. Durante questi 20 anni, tra le varie politiche di Chavez ci fu la scelta di investire esclusivamente sulla monocultura del petrolio, non fornendo al paese ulteriori sbocchi economici.

Se da un lato questa politica ha portato il paese ad essere ricchissimo nel primo decennio degli anni 2000, il calo del prezzo del barile ha lasciato il Venezuela in crisi dal 2013. Il governo Maduro ha dunque dovuto fare i conti con una situazione economica molto instabile, non aiutato dalle maggioranze risicate che era riuscito a conquistarsi nelle elezioni, sulle quali è stato alimentato dai suoi detrattori il fantasma dei brogli. Nemmeno le opposizioni di Maduro hanno avuto vita facile negli ultimi 6 anni: il presidente ha infatti represso ogni forma di opposizione costringendo all’esilio alcuni dei suoi avversari politici.

In un paese ormai alla deriva e sull’orlo della guerra civile, sono subentrati gli interessi internazionali delle grandi potenze mondiali che vedono il Venezuela come un avamposto strategico in Sud America, oltre ad essere un paese ancora ricco di petrolio. Dunque, i due leader possono “godere” dell’appoggio delle principali forze economiche e militari del pianeta. Nicolas Maduro è sostenuto da Russia e Cina, che hanno tutto l’interesse ad avere una grossa influenza sulle sorti di questo paese, oltre a mantenere alcuni trattati commerciali molto vantaggiosi stretti con il presidente eletto. Juan Guaidò, invece, ha le spalle coperte dal sostegno degli Usa e del Brasile, oltre a quello dell’Unione Europea che ha una posizione più moderata ma comunque avversa a Maduro.

Insomma, come ci spiega l’ottimo analista geopolitico Amedeo Maddaluno, “la partita venezuelana è geopolitica, non ideologica. Sembra che sia i russi che i cinesi offrano sostegno diplomatico ma vogliono garanzie sul petrolio, quel che interessa anche agli USA. Insomma nulla per nulla”. La posizione dell’Unione Europea in questa scacchiera è la pretesa non negoziabile della destituzione di Maduro e di elezioni democratiche entro pochi giorni. Una scelta discutibile secondo Maddaluno che specifica: ”L’UE avrebbe potuto assumere una posizione più aperta al dialogo, ponendosi come arbitro del conflitto internazionale prendendo peso come ente a favore della pace”.

Quest’ultima strada è stata scelta dal Vaticano e da alcuni paesi come Messico e Uruguay che stanno cercando di proporre un dialogo tra le parti che non sfoci nel sangue della guerra civile. Una strada che sembrerebbe anche percorribile se ci fosse maggiore sostegno, viste le timide aperture che ne sono scaturite. Purtroppo, però, quando c’è il petrolio di mezzo la pace diventa spesso un obiettivo per pochi.

Vincenzo Verde -ilmegafono.org