A un anno di distanza dal maxi sequestro operato nel napoletano che aveva colpito il clan Mallardo, la polizia di Stato della Questura di Napoli ha messo a segno un altro duro colpo ai danni dello stesso clan, sequestrando beni in diverse città della provincia partenopea per un valore totale di circa 10 milioni di euro. Tra i beni confiscati risultano diverse attività commerciali come supermercati, caseifici, panifici e un’azienda di fuochi d’artificio. Il provvedimento ha colpito in prima persona Salvatore Lucente, figura di spicco del clan, già in carcere dal 2018 per scontare una condanna di 13 anni.

Oltre a quello di Napoli, tra i comuni coinvolti nell’operazione figurano Giugliano in Campania, Villaricca e Casoria, confini dell’impero commerciale di Lucente, ma non dell’intero clan, che esercita il suo controllo anche in altre regioni d’Italia come il Lazio, la Toscana e il Veneto. La famiglia Mallardo è conosciuta come una delle più influenti all’interno del tessuto criminale di Napoli. È infatti tra le fondatrici dell’alleanza di Secondigliano. Secondo le prime ricostruzioni sembrerebbe che nei comuni dove è scattato il sequestro il clan esercitava un regime di oligopolio, obbligando i cittadini e le piccole imprese commerciali, attraverso violenza e minacce, a scegliere le attività di produzione e vendita di Lucente.

Insomma, il racket è attivo più che mai e si rivela in varie forme. Da un lato, nell’ultimo periodo, a dispetto del moltiplicarsi di associazioni e persone che si rifiutano di abbassare la testa, la riscossione del pizzo è tornata ad essere una grande fonte di guadagno per le mafie. D’altro canto, a questa metodologia tradizionale, come abbiamo visto, si aggiunge quella dell’intimidazione finalizzata a indirizzare le scelte dei consumatori e delle attività commerciali sui prodotti di largo consumo e di prima necessità.

Siamo di fronte all’ennesima conferma, qualora ce ne fosse bisogno, di quanto la camorra sia motivo di ulteriore disagio sociale in un momento di disperazione e povertà come quello della pandemia, che sta colpendo la Campania più di altre regioni, sia dal punto di vista epidemico che economico. È ormai più di un anno che si moltiplicano i campanelli d’allarme su come e quanto le mafie riescano a proliferare in questo momento di crisi, soprattutto al sud e nelle regioni in cui i lockdown sono stati più serrati, mettendo in ginocchio diverse famiglie ed imprese.

Adesso non è più possibile prevenire, tocca avviare l’ennesimo tentativo di ricostruzione tra le macerie lasciate dall’attività distruttiva della camorra. Dove non sono arrivati i controlli e la coscienza civile è giusto che arrivino la questura e i sequestri, ma l’unico modo per far sì che il ciclo non si ripeta è garantire una maggiore presenza (economica e sociale) dello Stato in zone troppo spesso dimenticate.

Vincenzo Verde -ilmegafono.org