Quando le forze politiche si attivano per “rivedere”, nel senso di rimodulare e rimodellare statuti e disegni di legge, inevitabilmente si accendono le spie della tutela della democrazia, nel peggiore dei casi quella della Costituzione. E si sa che oggi la democrazia passa necessariamente per le politiche ambientali, come dimostrano le tante e sempre più frequenti dimostrazioni di disobbedienza civile in segno di protesta per la difesa dell’ambiente. Del resto, i principali moti di insurrezione del secolo scorso non erano altro che volontà di cambiamento, espressione dello spirito democratico.

Le recenti dichiarazioni del Ministro dell’Ambiente Gilberto Pichetto Fratin, nell’ambito dell’iniziativa Valore Natura organizzata da Marevivo e WWF, devono far riflettere. “Verrà istituita una Commissione ministeriale per lavorare alla revisione completa del Codice dell’Ambiente e delle norme conseguenti, alla luce del nuovo quadro costituzionale determinato con i principi contenuti negli articoli 9 e 41 della Costituzione: una riforma normativa che si affiancherà all’azione di semplificazione e allo snellimento delle procedure autorizzative. Bisogna adattarsi a un nuovo modello, riscrivere un percorso”, ha detto il Ministro, aprendo a uno e più interrogativi sulle sorti di ambiente e relative politiche.

L’ombra del revisionismo si staglia minacciosa, considerando le basi sulle quali si poggia l’attuale governo: via libera a trivellazioni, poca attenzione al cambiamento climatico, trattato come un tema secondario, passando poi per il pugno duro contro gli attivisti climatici, trattati talvolta come navigati criminali. Per dare un colpo alla botte e uno al cerchio, come si suol dire, Pichetto Fratin ha poi aggiunto che per raggiungere gli obiettivi europei “dobbiamo creare le condizioni per produrre energia pulita, abbandonare carbone e petrolio, poi anche il gas, per aumentare le rinnovabili”, sottolineando quando la questione energetica sia fondamentale anche per la tutela ambientale. A questo punto bisogna chiedersi cosa esattamente voglia dire “revisione del Codice dell’Ambiente” per snellire le procedure autorizzative.

Una prospettiva che disegna scenari molto incerti all’orizzonte, ma non di certo ottimistici. L’articolo 9, relativo allo sviluppo dell’attività scientifica, potrebbe essere declinato in chiave nucleare? L’articolo 41 sulla libertà dell’iniziativa economica privata può invece strizzare l’occhio alle imprese estrattive? La tutela del paesaggio e dell’ambiente dove si colloca esattamente? Qual è il giusto compromesso da raggiungere? Ci muoviamo in un territorio in cui una frangia politica della maggioranza continua a sostenere e battersi per il ponte sullo Stretto di Messina, un progetto scellerato in una zona ad alto rischio ambientale e geologico. Cosa succederà? Il dubbio è lecito, la preoccupazione pure, e la risposta potrà arrivare solo in corso d’opera e per opera ci auguriamo di non dover parlare di ecomostri e infrastrutture ad alto impatto ambientale o di stravolgimenti irreversibili del diritto alla tutela di ambiente e salute.

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