Ogni volta che ci avviciniamo all’11 febbraio, nel nostro variopinto e scalmanato, ma serissimo, gruppo di “redazione”, ci rendiamo conto che non abbiamo ancora pensato a come celebrare il nostro compleanno. Succede ogni volta che, in un momento di calma, ci ricordiamo che febbraio è arrivato, che ci siamo dentro, che l’11 febbraio per noi non è e non sarà mai un giorno comune. Proprio così, perché da quando, nel 2006, venne partorito il primo numero del Megafono, con i primi articoli caricati, ogni anno che passa è un misto di riflessione, gioia, soddisfazione, fatica e imprecazioni. Alla maggior parte del mondo creato forse questo non importa, ma a noi e probabilmente (almeno lo speriamo) anche a quel piccolo ma onesto pubblico di lettori, simpatizzanti, sostenitori, importa eccome. Non tutti lo capiranno, ma noi sappiamo cosa significhi portare avanti un impegno come questo per così tanto tempo.

17 anni. Duecentoquattro mesi. Seimiladuecentonove giorni. Centoquarantanovemilasedici ore. Ogni anno che passa e ci troviamo a preparare il numero, a pensare a una grafica o a un video per celebrare questo momento, viviamo un sentimento duplice. Da un lato, l’orgoglio. Non solo per la longevità del nostro impegno, che significa anche aver raccontato un’epoca piena di contraddizioni, colpi di scena, drammi, lotte durissime, personaggi di ogni sorta. Ma soprattutto per averlo fatto sempre in modo critico e libero, cercando di non far mai calare l’attenzione sulle sfide più importanti, quelle che hanno al centro l’essere umano, i suoi diritti, la difesa della sua bellezza e di quella dell’ambiente in cui vive, i suoi ideali più belli, che promanano anche dalle esperienze più drammatiche. Abbiamo provato a decostruire i fatti che la società e il mainstream spesso rendono artificiali, abbiamo sfidato, nel nostro piccolo, quei luoghi comuni che la politica e la narrazione dei media ufficiali, troppo spesso, con le dovute eccezioni e distinzioni, hanno trasformato in false verità, inquinando il dibattito e la percezione pubblica. Abbiamo combattuto le nostre battaglie e qualcuna l’abbiamo anche vinta.

La nostra speranza era quella di cambiare il punto di osservazione, di risvegliare un’opinione critica e consapevole, di cambiare quelle oggettivamente viziate da errori, svelando la realtà più essenziale di un fatto o di una vicenda umana. Ci siamo riusciti più volte e per fortuna ne abbiamo le prove. In tutti questi anni, abbiamo avuto testimonianza di chi, fidandosi di noi, ha scelto un pensiero diverso da quello che famiglie, istituzioni, gruppi di pari, media e politica proponevano come il solo possibile, quello “ufficiale”. Non è successo solo una volta, è successo ogni volta che qualcuno ha fatto “girare” un nostro articolo, ha iniziato a seguirci, a condividere, a stampare, a riportare i nostri scritti. È accaduto ogni volta che siamo stati invitati per qualcosa che abbiamo sostenuto sul tema dei diritti o della libertà di informazione o della lotta alle mafie e ogni volta che qualcuno ci diceva e ci dice “vi leggo”, “vi conosco”, “vi seguo” o “non mi perdo un’uscita”. Abbiamo visto il nostro primo canale social passare da uno a oltre 3500 follower, senza una sponsorizzazione, senza una fan acquisition (come dicono i social media manager).

Non ne abbiamo sentito il bisogno, perché Il Megafono camminava e cammina per conto proprio, sul web, consegnandoci lettori (inclusi quelli critici o arrabbiati) sparsi un po’ ovunque arrivi un nostro contenuto. Dall’altro lato, però, questo è anche il nostro rammarico, rispetto al quale si può ancora rimediare: non essere riusciti a fare di più, a rendere questo spazio il più ampio e diffuso possibile, assumendosi anche il rischio di vederlo trasformato in altro e di doverlo poi aprire a quelle dinamiche dell’odierna informazione che non ci piacciono, con i commenti aperti, l’odio tra lettori, le frasi shock. Insomma, tutto quel mondo che non amiamo e che, a volte, vorremmo vedere sottoposto a una lenta decrescita, per tornare alla realtà tangibile. Tuttavia, lo è ormai anche questa e farne a meno sarebbe sbagliato, anacronistico, inutile. Quindi, malgrado la stanchezza che a volte ci porta vicino all’idea di cedere o di dire basta con le nottate, gli articoli, le consegne, l’impaginazione, malgrado da qualche anno troviamo meno giovani che abbiano voglia di misurarsi con il pensiero critico, scrivere o impegnarsi in qualsiasi altra maniera (grafica, social, ecc.), e malgrado le idee che cerchiamo di elaborare per aggiungere qualcosa di ancora più interessante e che poi non abbiamo il tempo di concretizzare, andiamo avanti.

Perché? Perché sentiamo che ci sia ancora bisogno di dire la nostra, di non lasciare che certe storie di ingiustizia cadano nell’oblio, di non lasciare che la sola narrazione possibile sia quella più comoda. Inoltre, a molti di noi, ilmegafono.org ha dato la forza di continuare a scrivere o di tornare a farlo, quando la voglia era poca e in testa navigavano volontà di resa, di silenzio e disinteresse. Ci ha dato forza, costringendoci in qualche modo all’impegno, perché da quello dipendeva la sua sopravvivenza. O forse, più concretamente, la nostra. E ci ha dato un gruppo di persone che hanno costruito un’amicizia vera, quella basata sulla comunanza di ideali e di valori. Noi pertanto, al Megafono rendiamo il favore e andiamo avanti, celebrando ancora una volta un anno che passa. L’anno numero 17, un altro traguardo.

Qualcosa per cui diciamo grazie a chi ci legge, ascolta, commenta, a chi ci stampa per far leggere i nostri contenuti sul cartaceo in gruppi o parrocchie, a chi ci ospita di tanto in tanto per parlare di un tema, a chi tiene a farci sapere che leggerci lo o la aiuta a pensare e capire, a chi attende l’uscita di un numero, a chi propone la propria arte e la propria musica, a chi ci segnala artisti, band, mostre, libri, articoli, dichiarazioni, argomenti, storie di “eroi minori”. A chi ci dà l’onore più prezioso, prestandoci il proprio tempo. Infine, alle redattrici e ai redattori che, in tempi diversi, hanno scelto di passare da qui. E a chi di loro, si è rimboccato le maniche ed è rimasto. A tutti noi, buon compleanno.

Massimiliano Perna -ilmegafono.org