C’era una volta un re. Nelle sue mani un impero finanziario, mediatico e politico, costruito negli anni e difeso con le unghie fino alla fine. La leggenda, scritta e divulgata dal re medesimo, narra di un impero nato partendo dal punto zero e cresciuto solo grazie all’ingegno e alla fatica quotidiana del sovrano, diventato tale dopo essere passato attraverso mille mestieri. Le autobiografie, quasi sempre, nascondono le verità che tutti sanno ma fingono di non sapere, perché mettere in discussione la parola del re significa mettere a rischio la propria posizione dentro le mura del castello. Molto meglio allora, e molto più facile, assecondare il sovrano e mostrargli sostegno e vicinanza in ogni frangente, nella buona e nella cattiva sorte come suggerito da quella promessa matrimoniale che il tempo mette poi a dura prova. Il re è morto, viva il re. La fila davanti alla sua reggia è enorme, ordinata e commossa. Più di un dubbio sulla sincerità dell’inchino, ma questo non ha molta importanza in un Paese che da tempo ha deciso di dimenticare e di chiudere la memoria e la dignità in una cella segreta e di buttare via la chiave.

Per i sudditi è invece importante l’ultimo inchino, perché l’impero è ancora forte, soprattutto nelle stanze della finanza e della comunicazione mediatica. C’è chi, fra i sudditi, ha costruito la sua immagine e la sua forza proprio grazie alla benevolenza del re: troppo rischioso dimenticarlo in fretta, qualcuno potrebbe non accettarlo e serbare rancore. Ecco, allora, una narrazione dell’impero e di re Silvio Berlusconi profondamente lontana dalla realtà. Solo che la storia non cade mai in prescrizione. La si può ignorare, la si può perfino deformare e capovolgere, ma non la si può cancellare. Servirà molto tempo, a tante generazioni verrà raccontata una favola ricca di bugie e di verità taciute e nascoste, ma in fondo è così da almeno un ventennio. Strano Paese l’Italia, ha sempre bisogno di un ventennio prima di riuscire a leggere e capire la propria storia.

Mediaset, Mondadori e Banca Mediolanum sono la spina dorsale di quell’impero. Nelle stanze del castello non poteva mancare la politica, l’anello necessario per poter controllare meglio il territorio intorno al castello e avere una visone d’insieme molto ampia: valutare amici e nemici, individuare i pericoli e, quando necessario, poterli aggirare con il beneplacito della legge. E visto che le leggi le fa il Parlamento perché dunque non scrivere “leggi ad personam” quando necessarie? Quando la chiave della cella segreta verrà ritrovata, allora la memoria potrà finalmente fare domande e chiedere quelle risposte che oggi il Paese finge di non conoscere. Qualcuno chiederà cosa e chi ha favorito, protetto e tutelato, la nascita di un impero che un giorno dopo l’altro è cresciuto a dismisura fino ad entrare in ogni cellula del tessuto del Paese e dello Stato. Qualcuno vorrà sapere come è stato possibile che, partendo dal mattone, si sia percorsa tutta la scala che ha portato al controllo quasi totale del mercato immobiliare, dell’editoria e dell’informazione, per arrivare alle banche, alle istituzioni e al Parlamento.

Qualcuno vorrà capire meglio i legami del re con la loggia massonica denominata P2, e qualcun altro ancora vorrà approfondire come, quando e perché, il nome di Silvio Berlusconi si accostava a storie e nomi di mafia. Tante, troppe domande. La Commissione parlamentare di inchiesta sulla loggia massonica P2, presieduta da Tina Anselmi, definì la P2 come “una vera e propria organizzazione segreta criminale ed eversiva”. La tessera 1816 – codice E.19.78, gruppo 17, fascicolo 0625, data di affiliazione 26 gennaio 1978 – era quella assegnata a Silvio Berlusconi. Berlusconi negò di aver fatto parte della P2 e, per questo, ebbe una condanna per falsa testimonianza nel 1990, ma il reato fu subito dichiarato estinto per effetto dell’amnistia. La storia della P2 e del suo “piano di rinascita democratica”, cioè la parte essenziale del programma, prevedeva fra le altre cose l’assorbimento degli apparati democratici della società in un autoritarismo legalizzato che metteva l’informazione al centro del villaggio. La P2 venne sciolta nel 1982, ma la sua storia si intreccia con le trame e le pagine più oscure e drammatiche dell’Italia Repubblicana.

L’ascesa di Silvio Berlusconi ruota intorno alla Milano degli anni Settanta, una città diventata il perno di un vortice dove l’abbraccio fra gli affari, la finanza e le mafie, si fa sempre più consistente. Negli anni, il nome di Berlusconi entra sempre più spesso nei faldoni giudiziari dedicati alla mafia. Accostamenti sempre respinti da Berlusconi, ma mai chiariti davanti ai giudici: nessuna risposta su accuse e sospetti relativi ai suoi rapporti con la mafia. Restano agli atti il suo incontro con il boss Stefano Bontate nel 1974, l’arrivo a Milano di Vittorio Mangano, che diventerà “lo stalliere di Arcore”, l’amicizia con Marcello Dell’Utri, che rivestirà un ruolo fondamentale nella nascita di Forza Italia, il partito del Presidente, e che sarà condannato in via definitiva a sette anni per concorso esterno in associazione mafiosa.

Sono troppe le ombre e le certezze che Berlusconi lascia dietro di sé, anche se oggi il Paese sembra avvolto dall’oblio, in una lettura ipocrita e parziale della sua figura. Oggi si dimentica anche quale impatto Berlusconi abbia avuto sulla vita politica e sociale di questo Paese. Lui è l’uomo che ha sdoganato e legittimato la destra estrema che oggi governa: lui è il politico che ha assegnato, nella prima metà degli anni Novanta, un ruolo di primo piano alla Lega Nord di Umberto Bossi e alla destra fascista di Gianfranco Fini. Era Berlusconi il presidente del Consiglio nei giorni della macelleria di Genova nel 2001 e, accanto a lui, vi era proprio quel Gianfranco Fini che non ha mai chiarito e spiegato il suo ruolo di comando delle operazioni di Polizia e Carabinieri a Genova. I giorni del G8 di Genova hanno segnato e ucciso per sempre una generazione e un movimento che aveva capito tante cose prima di altri, e sono stati l’inizio di una strada che oggi l’Italia ha scelto come sua, affidando la guida a una destra fascista e razzista da cui Berlusconi non si è mai dissociato.

Altre ombre che si aggiungono alle tante. Eppure, questo Paese sembra perdonare tutto a Berlusconi, anche la mercificazione e la volgarità con cui ha reso credibile l’idea che tutto si può comprare e tutto si può vendere: il potere, un deputato o un senatore, un giornale o una squadra di calcio, il corpo e la compagnia di una donna. Tutto ha un prezzo e ogni cosa diventa una merce. E lui ha vinto questa sua partita: il “berlusconismo” è diventato per molti uno stile di vita vincente, da ammirare e imitare. In tanti sono caduti in questa trappola: semplici cittadini e tanta, troppa, parte della politica. Ci sono stati momenti che potevano e dovevano segnare un punto di rottura con questo stile di vita, ma sono stati sprecati e ignorati. Chi ha provato a spezzare questa catena è stato marginalizzato e messo all’angolo, troppo forti i giochi di potere e le convenienze reciproche.

Oggi Silvio Berlusconi è morto e questo Paese delle maschere e dei trucchi, dei senza memoria, si ferma ossequioso per rendere onore a chi lo ha usato e piegato ai propri interessi, tutti in fila per un ultimo ed ennesimo inchino. Ognuno vuole rendere il suo omaggio al re, anche chi non ha mai saputo (o voluto) contrastarlo da vivo, o lo ha fatto solo a parole perché nei fatti è sempre sceso a compromessi umilianti. Per Berlusconi si spendono parole come uomo di Stato e delle istituzioni, con un colpo di spugna sulle offese recate alle istituzioni medesime. Qualcuno ricorda quando, durante le indagini sulla sua persona, Berlusconi definiva la magistratura come “un cancro, una metastasi”? La narrazione che in questi giorni viene fatta su una delle figure più divisive e volgari della società e della politica italiana lascia quasi increduli, ma è un’incredulità che lascia il posto alla consapevolezza che l’impero di un sovrano si fonda sempre sulla fedeltà di servi e vassalli.

Probabilmente è una fedeltà che non durerà a lungo, perché all’orizzonte si intravedono nuovi sovrani e nuovi eredi della dinastia e allora qualcuno proverà a smarcarsi. È già accaduto nel passato, recente e remoto. Oggi è ancora presto per farlo, oggi è il momento dei funerali di Stato e del lutto nazionale, delle bandiere a mezz’asta e delle attività di Camera e Senato che si fermano come non era mai accaduto in passato. Giorgio Gaber direbbe “Oggi no, domani forse, ma dopodomani sicuramente…”.

Maurizio Anelli -ilmegafono.org