Un’inchiesta di Greenpeace Italia lancia un allarme. Ed è un allarme serio, frutto di verifiche ed esami di laboratorio. Un’indagine che investe Shein, azienda di vendita online di fast fashion cinese, fondata nel 2008 da Chris Xu a Nanchino. Nel 2020, Shein è stato il brand più discusso su TikTok e Youtube e il 4º brand più discusso su Instagram. L’azienda, che commercializza prevalentemente abbigliamento a prezzi contenuti in oltre 220 Paesi, si è già trovata al centro di numerose controversie tra cui quelle sui marchi, violazioni dei diritti umani, salute e sicurezza. “Nei giorni che precedono il Black Friday – scrive il sito di Greenpeace – abbiamo acquistato alcuni prodotti Shein da portare in laboratorio per verificare cosa c’è dentro i vestiti usa e getta del colosso cinese, quali sostanze chimiche contengono, e se queste sono pericolose per l’ambiente e la salute”.

“Abbiamo scoperto – continua l’organizzazione ambientalista – che alcuni di questi contengono non solo sostanze pericolose, quali ftalati, formaldeide e nichel, ma addirittura che queste sono presenti in quantità superiori ai livelli consentiti dalle leggi europee. In pratica, questi prodotti sono da considerarsi illegali a tutti gli effetti”. In molti prodotti, queste sostanze sono presenti in quantità davvero preoccupanti, mettendo a rischio non solo i consumatori, ma anche chi lavora per il marchio e chi si trova a stretto contatto con questi capi di abbigliamento, nonché per le popolazioni che vivono in prossimità dei siti produttivi.

Per via dei suoi impatti ambientali, questo modello di vendita fondato sulla produzione di capi di bassa qualità e letteralmente usa e getta è da considerarsi incompatibile con un futuro rispettoso del pianeta e dei suoi abitanti. L’ultra-fast fashion aggrava gli impatti del settore e accelera la catastrofe climatica e ambientale. Per questo, deve essere fermato subito. Greenpeace chiede all’Unione Europea di applicare le leggi vigenti sulle sostanze chimiche pericolose, un requisito fondamentale per lo sviluppo di una vera economia circolare, e di attivarsi per eliminare il fast fashion, come peraltro indicato nella strategia europea sul tessile. È inoltre necessario intervenire sullo sfruttamento della manodopera, sulle gravi conseguenze ambientali nelle fasi produttive e, infine, sulla gestione dei rifiuti a fine vita.

Tutti questi aspetti devono essere affrontati urgentemente con un trattato globale e un approccio simile a quello attualmente in discussione sulla plastica, che affronti finalmente la gigantesca impronta ecologica dei settori del tessile e della moda. Utilizzare i social per diffondere i loro prodotti è un mezzo per stordire la massa. Aziende come Shein vogliono solo il profitto, calpestando tutto, dai diritti dei lavoratori al diritto alla salute degli esseri umani e dell’ambiente. Vogliono di più per se stessi e meno per tutti gli altri. Ma sanno benissimo anche cosa non vogliono: non vogliono una popolazione di cittadini capaci di pensiero critico. Non vogliono persone ben informate e ben istruite capaci di pensiero critico. Ecco perché è importante diffondere inchieste come quella di Greenpeace. Bisogna fermarli. Immediatamente.

Vincenzo Lalomia -ilmegafono.org