Reporter Senza Frontiere elabora e pubblica, ogni anno, un rapporto su quello che nel mondo accade alla libertà di stampa. Si tratta di un indicatore significativo del livello di democrazia di un Paese, basato in gran parte sulla valutazione di parametri abbastanza semplici: il pluralismo e l’indipendenza dei media, la struttura legislativa e le leggi che regolano la libertà di stampa, la trasparenza. Un rapporto importante ma che da solo non è sufficiente a dare una fotografia esatta, perché teoricamente le Costituzioni tutte garantiscono la libertà di stampa. Esistono però altri strumenti capaci di limitarla. I nemici di un’informazione libera e indipendente sono molti: Stati, governi, gruppi finanziari ed economici, partiti. A volte si dichiarano apertamente, altre volte il controllo è esercitato con metodi più subdoli. Nell’ultimo rapporto, anno 2023, l’Italia occupa una pessima posizione, la quarantunesima.

Disinformazione, propaganda e intelligenza artificiale, secondo il rapporto di Reporter Senza Frontiere, sono le principali nemiche della libertà di informazione. Ci sono poi altri parametri, non meno importanti: la grande concentrazione di testate nelle mani di pochi editori, e quindi pochi gruppi che detengono gli assetti proprietari e controllano l’informazione, favoriti anche da leggi e normative. Oltre a Reporter Senza Frontiere anche la valutazione del CIMA (Center International Media Assistance) merita attenzione: il CIMA verifica quali sono le condizioni di pericolo in cui operano i giornalisti nei vari Paesi. In questo senso, la situazione del Messico è terribile: nessun ostacolo a livello ufficiale e legislativo, ma il Messico è il Paese con il maggior numero di giornalisti assassinati. In Italia, invece, esistono ancora oggi giornalisti che vivono sotto scorta. Questa vuole essere una piccola premessa, necessaria per guardare a quello che succede nel nostro Paese e interrogarsi sulla reale situazione dell’informazione al suo interno.

Il 19 dicembre 2023, la Camera dei deputati approva – con 160 voti a favore e 70 contrari – la norma che proibisce la pubblicazione “integrale o per estratto” del testo dell’ordinanza di custodia cautelare (il provvedimento con cui i giudici formalizzano, su richiesta dei Pm, una misura cautelare) fino all’inizio del processo. Questa norma, di fatto, oltre a limitare il lavoro dei giornalisti, nega ai cittadini il diritto di essere informati. Non è la prima volta che in questo Paese si prova ad imporre una sorta di “censura di Stato” alla libera informazione, era già accaduto con i governi di Berlusconi e Renzi: il nodo del problema, in quei tempi, era la pubblicazione delle intercettazioni che andavano impedite in ogni modo. Quei tentativi, al pari di quello attuale, confermano come un’informazione libera e indipendente sia sempre un pericolo per quello schieramento trasversale, e non solo politico, che ama agire indisturbato. La “Rete NoBavaglio” nacque in seguito a quei tentativi ed è giusto ricordare, fra gli altri, il lavoro e l’impegno di un grande giurista come Stefano Rodotà.

Non basta. Federico Mollicone, parlamentare di Fratelli d’Italia e Presidente della Commissione Cultura, Scienza e Istruzione alla Camera dei deputati, prova ad andare oltre e propone la “certificazione digitale delle notizie”. “Per farlo – afferma – serve una riforma dell’editoria, che è quella su cui ci stiamo applicando per difendere l’attendibilità delle fonti e la veridicità delle informazioni”. Allora la prima domanda che nasce, spontanea, è chi sarà a porre il sigillo dell’autenticità della notizia? L’attuale governo di estrema destra, con questi continui attacchi alla libera informazione e con l’occupazione territoriale di tutti i canali della cultura e della comunicazione, riporta a quel passato del ventennio fascista quando il MinCulPop – Ministero della cultura popolare istituito nel 1937 – diventò il centro unico di controllo della comunicazione e dell’informazione.

Alle affermazioni di Mollicone sono seguite smentite, in particolare dal suo stesso partito: “La notizia riportata oggi dal quotidiano La Repubblica – si legge in una nota di FdI – è priva di fondamento. Il deputato Mollicone ha già chiarito che le sue parole sono state totalmente distorte… Non è infatti allo studio alcuna proposta di legge di Fratelli d’Italia che intenda limitare la libertà di espressione o di stampa”. Quanto sono credibili queste dichiarazioni?

Esiste tuttavia un altro aspetto su cui non si può tacere e su questo aspetto a rispondere devono essere i protagonisti stessi dell’informazione: i giornalisti e l’Ordine dei Giornalisti. È un dato di fatto innegabile che esista uno spaccato inquietante all’interno di un mondo che dovrebbe essere un punto fermo di ogni democrazia, uno spaccato dove convivono anime che sporcano l’idea stessa di “giornalismo”. Giuseppe Fava, tanti anni, fa scriveva: “Io ho un concetto etico di giornalismo…Un gior­nalismo fatto di verità impedi­sce molte corruzioni, frena la vio­lenza e la crimina­lità, accelera le opere pubbliche indispen­sabili. pretende il fun­zionamento dei ser­vizi sociali. tiene con­tinuamente al­lerta le forze dell’ordine, sollecita la co­stante at­tenzione della giu­stizia, impone ai politici il buon gover­no. Se un giornale non è capace di questo, si fa carico anche di vite umane. […] Un giornalista incapace – per vigliac­cheria o calcolo – della verità si porta sulla coscienza tutti i dolori umani che avrebbe potuto evitare, e le sofferenze. le sopraffa­zioni. le corruzioni, le violenze che non è stato capace di combattere. Il suo stesso fallimento!”.

Quanti sono, oggi, i giornalisti che ignorano questo “concetto etico”? Tanti, anzi troppi. Qual è l’immagine che il giornalismo italiano offre di sé stesso, oggi, al Paese? La conferenza stampa di fine anno di Giorgia Meloni è stata per molti aspetti un’immagine imbarazzante in merito a questo tema. La prima domanda di rilievo è stata posta dopo oltre un’ora di non risposte da parte della premier sul primo anno del suo governo. Nessuno ha incalzato, nessuno ha preteso risposte chiare e concrete. Quella conferenza è diventata la cassa di risonanza degli slogan e del vuoto politico e sociale che contraddistingue questo governo, nessun coraggio nell’affrontare le questioni più importanti. In quella conferenza, Giorgia Meloni ha dichiarato che il momento peggiore del suo primo anno di governo è stata la tragedia di Cutro, ma nessun giornalista ha osato buttargli in faccia l’operato del suo ministro degli Interni e chiedere conto, non solo di quella tragedia ma di tutto il sistema di gestione delle politiche sui migranti. Nessun rilievo serio sulle politiche del ministro della Giustizia e del suo vicepremier Matteo Salvini.

L’inchiesta che coinvolge la famiglia Verdini è stata trattata ai margini e la stessa Meloni ha ribadito che non vede la necessità che Salvini risponda in Parlamento. Se l’immagine offerta è questa, interviste morbide e mai incisive, allora il problema è ancora più serio. C’è qualcosa di grave quando un Paese smette di indignarsi, quando un giornalista non sente il bisogno di rimuovere dalla propria coscienza il piacere del compiacimento. Esiste però un altro spaccato nel mondo del giornalismo: c’è chi, con quell’etica di cui parlava Giuseppe Fava, porta avanti con coraggio e determinazione inchieste che danno fastidio. Quel qualcuno è continuamente sotto attacco, querelato dalle istituzioni e lasciato solo, troppe volte anche dallo stesso Ordine dei Giornalisti. Se ancora oggi alcuni giornalisti sono costretti a vivere sotto scorta, se tutto questo accade senza che ci sia una risposta dura e coraggiosa da parte di colleghi e redazioni, allora tutto diventa più preoccupante e coinvolge tutti. Invece, sono proprio loro a vera essenza del giornalismo e per questo sono scomodi. 

Infine due osservazioni, amare ma necessarie: la prima, è che in tre mesi di guerra a Gaza, più di cento giornalisti palestinesi sono stati uccisi. Sono, erano, gli unici e principali testimoni del genocidio in atto. Poche, e sottovoce, le reazioni dei telegiornali e dei principali quotidiani italiani. La seconda riguarda il caso di Julian Assange: anche qui il silenzio del giornalismo italiano che conta è significativo. Ecco allora il bisogno forte di un’informazione libera e indipendente, intellettualmente onesta, che resta sempre un punto fermo per una vera democrazia.
È l’unica strada per resistere a tutti i bavagli e a tutte le censure di Stato.

Maurizio Anelli -ilmegafono.org