La scorsa settimana, a Siracusa, davanti alla tabaccheria di via Piave, colpita recentemente da un attentato, si è svolto un presidio, organizzato dalla Federazione Antiracket Italiana. Presenti le associazioni antiracket della provincia e anche alcune provenienti da città di altre province, come Enna, Vittoria e Messina. Presenti anche le istituzioni della città, qualche associazione e pochi cittadini. Nulla a che vedere con la partecipazione ampia che, in passato, in piena lotta al racket, si era registrata in questa provincia. Ma d’altra parte, questi sono tempi in cui di mafia si parla poco, ancor meno di lotta alla mafia e al racket, ed è normale che ci siano meno sensibilità e meno attenzione davanti a fatti del genere. Ad ogni modo, la solidarietà è arrivata ai titolari della tabaccheria, da anni membri dell’associazione antiracket, in attesa che le indagini chiariscano meglio la natura dell’attentato. In occasione del presidio, abbiamo intervistato Paolo Caligiore, storico rappresentante del movimento antiracket in provincia, e Alessandro Cassarino, titolare della tabaccheria, per parlare di racket e di lotta al racket.

(Intervista a Paolo Caligiore)

Paolo, l’attentato alla tabaccheria di via Piave è un segnale allarmante di una mafia che ha deciso di alzare nuovamente il tiro?

Non conosciamo ancora la ragione di questo attentato, le risposte le daranno le forze dell’ordine, che stanno facendo un lavoro egregio. Io però non posso pensare che il ragazzotto di turno metta una bomba in questa attività, se non c’è il benestare da parte di chi comanda in questa strada e in questo quartiere. Siamo davanti a un attentato nei confronti di una persona che ha un’attività e che da anni aderisce all’associazione antiracket. È chiaro che a uno così non si chiedono soldi, non lo hanno fatto in venti anni, non li cercheranno ora. Stanno dando un segnale a chi è contro il racket. Posso anche sbagliarmi, ma mi sembrerebbe curioso un atto vandalico contro un membro dell’antiracket. In questa strada, questa tabaccheria e altre attività che aderiscono all’associazione antiracket sono presidi di legalità ed è chiaro che toccare un’attività del genere significa attuare una dimostrazione di forza non indifferente. Noi abbiamo il dovere di proteggere questi presidi e ho visto che le istituzioni sono state presenti, hanno testimoniato solidarietà.

Basta l’espressione di solidarietà a fermare le mafie?

No, infatti, il problema è un altro. Bisogna esserci anche domani, evitare che domani questo rimanga un impegno degli addetti ai lavori, delle associazioni antiracket, come è già successo. Ci deve essere da parte di tutti l’attenzione vigile affinché certe cose non si ripetano, altrimenti ci ritroveremo a manifestare e parlare davanti al prossimo attentato. Le istituzioni devono fare la loro parte, cercando di trovare un sistema di vigilanza, come la videosorveglianza, la disponibilità nei confronti degli imprenditori che non pagano. Bisogna creare la solidarietà che poi convince le persone a denunciare. Noi abbiamo, e lo dico con orgoglio, un questore, un comandante dei carabinieri e un comandante della Gdf che hanno pubblicamente detto che non c’è nemmeno bisogno di denunciare, che basta anche un colloquio semplice, in un primo tempo, per dare l’input per far scattare le indagini. Solo dopo, quando quella persona viene tutelata, allora si procede con la denuncia.

Cosa bisogna fare allora affinché la gente decida di denunciare?

Dobbiamo dare un segnale palese, evidente, quotidiano, in modo che i commercianti lo possano sentire e possano sentirsi liberi di denunciare. Siracusa è una città di grande cultura, ma serve uno scatto di orgoglio per liberarci di questo odioso fenomeno. Siracusa e provincia sono state avanguardia nella lotta al racket, sono state indicate da tutti come modello esemplare, da seguire, per tutto quello che siamo riusciti a ottenere. Oggi è ancora più facile denunciare. Io accompagno le persone, affidandole non al semplice agente, ma al comandante, al maggiore, al dirigente di polizia, per far capire ai commercianti che possono stare tranquilli, che le forze dell’ordine nel loro insieme sono pronte a tutelarle. Chi denuncia viene messo a proprio agio. Qui c’è una maggiora consapevolezza anche in chi raccoglie la denuncia. Solo dove ci sono le associazioni antiracket che hanno lottato, si è riusciti a ottenere questo. Quando un dirigente della Squadra mobile e il comandante dei carabinieri raccolgono la denuncia, è un valore aggiunto.

Insomma, ci sono tutte le condizioni per denunciare in sicurezza.

Se non riusciamo a sfruttare tutto quello che abbiamo costruito in questi anni, allora aspetteremo il prossimo attentato e poi il giorno dopo dimenticheremo tutto. Così, chi dovrebbe denunciare non lo farà e cercherà i soliti alibi. Ma alibi non ce ne sono. Abbiamo una legge che funziona a livello nazionale, una prefettura attenta, una disponibilità da parte di tutti, non capisco cos’altro si debba volere. Si deve solo scegliere di non avere a che fare con la mafia e di non voler dividere i proventi della propria attività con i delinquenti.

Il presidio davanti alla tabaccheria di via Piave a Siracusa (foto IlMegafono.org)

 

(Intervista ad Alessandro Cassarino)

Alessandro, Lei ha ricevuto solidarietà dai commercianti del quartiere?

La mattina dopo l’attentato, quando sono venuto ad aprire, un collega che ha una attività su via Piave è venuto di corsa, mi ha stretto la mano e mi ha detto che era come se la bomba l’avessero messa a tutti. Questo già fa capire tanto come risposta. Ci vorrà del tempo, magari, ma le cose stanno cambiando. Poi ho ricevuto la solidarietà anche di tanti altri colleghi che sono venuti a trovarmi.

Guardando al passato e alla lunga esperienza di lotta al racket a Siracusa, ci si poteva aspettare però più partecipazione anche dai semplici cittadini. Non crede?

Non so darmi una spiegazione della mancata partecipazione di tanta gente, forse il caldo o il fatto che i giovani sono al mare. Forse è anche che di un fenomeno come il racket mafioso si parla sempre troppo poco e parlarne di più aiuterebbe a sensibilizzare. La cosa importante, comunque, è che le istituzioni erano presenti. Speriamo solo che non si sgonfi tutto con il passare del tempo e poi se ne riparli fra tre o quattro mesi, al prossimo incendio, alla prossima bomba, al prossimo attentato. Dobbiamo fare di tutto per tenere sempre alta l’attenzione sulla legalità.

Lei è da tempo parte del movimento antiracket. Purtroppo a Siracusa ancora in molti pagano il pizzo. Cosa si sente di dire oggi a un commerciante che paga e ha paura di ribellarsi?

Mi auguro che la gente capisca che la sola soluzione è quella della denuncia. Oggi le cose sono cambiate rispetto al passato. Lo Stato ti aiuta, c’è la rifusione dei danni, ma la condizione è una sola, ossia collaborare con le forze dell’ordine. Perché è chiaro che non si può pretendere di avere la rifusione dei danni se poi sotto banco paghi ancora il pizzo. Non ha senso, non è giusto. Ci vogliono la forza e il coraggio di dire no. Noi abbiamo trovato una Squadra mobile, a Siracusa, composta da persone in gamba, determinate, e questa cosa ci ha fatto molto piacere.

Qual è la spiegazione che si dà per questo attentato? È una dimostrazione di forza dei clan?

Ancora non sappiamo se siamo di fronte a un atto intimidatorio o vandalico, saranno le indagini a darci le risposte. Io credo che nel quartiere lo sanno tutti che noi facciamo parte dell’associazione antiracket, pensare di venire qui e ottenere il pizzo è un suicidio. Non sappiamo darci una spiegazione per quello che è successo, ma certamente è un segnale preoccupante.

Massimiliano Perna -ilmegafono.org