L’invasione, l’occupazione e lo sfollamento sono stati devastanti per tutto il popolo di Afrin, in particolare per le donne, che sono state le prime vittime di violenza e intimidazione da parte delle forze occupanti e che, nonostante una vita ridotta ai minimi termini e senza diritti, lottano ancora per prendersi cura delle loro famiglie con le poche risorse che riescono a trovare. Durante l’invasione turca, i ribelli sostenuti dalla Turchia mutilarono e poi filmarono il corpo di una delle donne combattenti: Barin Kobani, che aveva preso parte a una campagna sostenuta dagli Stati Uniti per scacciare i terroristi dello Stato Islamico dalla città settentrionale di Kobane.

È stato confermato che il filmato è stato girato nel villaggio di Qurna, vicino al confine turco a Bulbl. Nel filmato, una dozzina di ribelli armati sostenuti dalla Turchia, si radunano attorno al corpo gravemente mutilato della donna stesa a terra e urlano: “Allah Akbar”. Il portavoce delle SDF, Mustefa Bali, ha affermato che l’atroce video è stato un motivo in più per continuare a combattere contro la Turchia e i suoi alleati. “Immagina la ferocia di questi invasori con i corpi delle nostre figlie. Come si comporterebbero se prendessero il controllo dei nostri quartieri? ”, ha affermato anche sui social come Facebook. “Tutto questo odio e barbarie ci lascia con un’unica opzione: continuare la resistenza”.

I curdi che sono rimasti ad Afrin sono soggetti allo stesso tipo di discriminazione etnica, saccheggio e violenza sessuale perpetrata dall’ISIS contro gli yazidi in Iraq. Almeno più di duecento ragazze sono state rapite e le loro famiglie temono che siano trattenute come schiave del sesso. Finora, più di cinquecento ragazze curde sono state forzatamente sposate con membri delle fazioni armate. La SOHR afferma che le fazioni armate spesso irrompono nelle case quando gli uomini non ci sono e cercano di molestare le donne minacciandole con delle armi. Nella maggior parte dei casi, le donne non sono nemmeno in grado di dirlo ai loro mariti, ciò è anche causa di casi registrati di suicidio tra le giovani donne.  Nelle aree curde occupate dalla Turchia nel nord della Siria, le donne e le ragazze curde sono esplicitamente soggette a rapimenti sistematici e matrimoni forzati. Sebbene ormai ampiamente condannati dall’opinione internazionale, i matrimoni forzati sono una delle tattiche spaventose utilizzate dai ribelli sostenuti dalla Turchia per umiliare i curdi. Le donne curde sono considerate “bottino di guerra”, ed è per questo che vengono rapite, violentate e costrette al matrimonio o alla schiavitù sessuale.

Le Nazioni Unite vedono il matrimonio forzato come una forma di violazione dei diritti umani, poiché viola il principio di libertà e autonomia delle persone. La Dichiarazione universale dei diritti umani afferma che il diritto di una persona di scegliere liberamente un coniuge e di avere consapevolmente un matrimonio è fondamentale per la sua vita e dignità e la sua uguaglianza come essere umano. La Convenzione supplementare sull’abolizione della schiavitù proibisce anche il matrimonio forzato per volontà dei genitori, della famiglia e di altre persone e richiede l’età minima per impedirne il matrimonio. Nel 1969, la Camera d’appello del Tribunale speciale per la Sierra Leone (SCSL) ha reputato l’abuso e la conseguente gravidanza delle donne frutto di un “matrimonio forzato” in guerra come nuovo crimine contro l’umanità (decisione AFRC).

Nel 2013 è stata adottata la prima risoluzione del Consiglio dei diritti umani delle Nazioni Unite contro i matrimoni precoci e forzati. Sono stati proposti una varietà di termini alternativi, tra cui “schiavitù coniugale” per definire l’atrocità di quanto accade. Tra il 2019 e il 2020 molteplici sono stati i rapimenti e gli abusi contro civili. Nell’ottobre 2019, la 14enne Fatima Mohammad Khalil, originaria del villaggio di Shaytana, sottodistretto di Mabatta, è stata costretta a sposarsi con un membro dell’SNA (esercito nazionale siriano). La famiglia di Fatima, che attualmente vive ad Afrin nel quartiere di Mahmodiyyeh, ha cercato disperatamente di resistere al matrimonio forzato della figlia adolescente, ma invano.

E ancora, nel villaggio di Dargear, Afrin, una donna curda, Khadija Wahid Hamo, è stata rapita da bande armate della fazione di AlHamzat il 18 gennaio 2020 con l’accusa di collaborare con l’ex amministrazione curda. Khadija è stata torturata e picchiata per due giorni, è stata rilasciata solo dopo che suo fratello è riuscito a pagare un riscatto pari a 1.000.000 di lire turche. Lo stesso giorno in cui Khadija è stata rapita, un’altra donna del suo villaggio di nome Ayda Jamil Zeno, una vedova, è stata arrestata, torturata, picchiata e rilasciata dopo aver pagato la stessa cifra come riscatto. Diritti umani crudelmente violati sotto gli occhi del mondo. Torture, rapimenti, violenze sessuali, riscatti con cifre esorbitanti. Questo è quello che spetta ai civili rimasti nel cantone di Afrin, sotto la becera violenza della Turchia e delle alleanze jihadiste.

Rossella Assanti -ilmegafono.org