Produrre cibo sostenibile senza recare danno alla natura è una sfida che bisognerà vincere nei prossimi anni. A prendersi carico di questa battaglia, sono i ricercatori del Potsdam Institute for Climate Impact Research (PIK) che, tramite il lead-author dello studio, il professor Dieter Gerten, hanno messo in luce la grave situazione che c’è in questo momento, sottolineando però che con le giuste misure si fa ancora in tempo a cambiare rotta. Più della metà dei generi alimentari che si producono, infatti, è insostenibile e con un forte impatto ambientale. A parlarne è lo studio quinquennale pubblicato su Nature Sustainability, dove gli studiosi hanno anche identificato un pacchetto di soluzioni che potrebbe favorire il sostentamento per più di 10 miliardi di persone.

Alla base di tutto vi è la “Teoria dei 9 limiti planetari” formulata nel 2009 dal geofisico svedese Johan Rockström: nove soglie ambientali oltre le quali le attività antropiche non dovrebbero spingersi per mantenere intatto il Pianeta. Per questa ricerca sono stati esaminati i quattro confini che fanno riferimento al cibo, ovvero il mantenimento della biodiversità, l’uso sostenibile di acqua dolce, il ricorso limitato all’azoto in agricoltura e a pratiche di disboscamento. Ciò che è emerso è che il sistema alimentare è in grado di fornire una dieta bilanciata a solo 3.4 miliardi di persone.

Una soluzione attuabile, secondo i ricercatori, sarebbe quella della riorganizzazione razionale delle tecniche agricole, che offrirebbe un’alimentazione sostenibile per 7.8 miliardi di persone, cioè poco più della popolazione attuale. Bisognerebbe spostare parte delle attività agricole e di allevamento da zone sottoposte a “stress ambientale” elevato, come Cina orientale ed Europa centrale, verso quelle in cui i limiti ambientali sono ancora lontani dall’essere superati, come il Nord-Ovest degli Stati Uniti e soprattutto l’Africa sub-Sahariana. I pochi, ma importanti cambiamenti riguarderebbero: la “Rinaturalizzazione” degli allevamenti nelle aree dove più del 5 per cento delle specie sono a rischio estinzione; la riforestazione dei terreni coltivati laddove più dell’85 per cento della foresta tropicale è stata disboscata; la riduzione dell’uso dell’azoto nei fertilizzanti.

“Una modifica dell’alimentazione su larga scala sarà inevitabile – dichiara Vera Heck, ricercatrice al PIK -. Cambiamenti del genere possono essere difficili da accettare in un primo momento, ma sul lungo periodo, un pasto più sostenibile avrà benefici sia sul Pianeta che sulla salute delle persone”. Un altro parametro da tenere in considerazione è lo spreco alimentare che è necessario diminuire. L’IPCC parla di dati preoccupanti: circa il 30 per cento del cibo destinato alla consumazione viene buttato ancor prima di finire in tavola. A tal proposito, infatti, Heck propone di attuare politiche che, tramite gli adeguati incentivi, educhino sia il produttore che il consumatore.

Infine, Wolfgang Lucht, co-autore dello studio, afferma: “La chiave del successo di queste strategie è che i Paesi interessati vedano benefici per il loro sviluppo, solo così esistono concrete possibilità di vederle implementate”.

Veronica Nicotra -ilmegafono.org