Avevo provato una cosa simile solo per la scomparsa di De André. Ma diversa. Probabilmente perché ero più giovane, camminavo ancora su pietre molli. Di De André poi mi riempii nel tempo, arrivando a discuterne con Mauro Pagani e Franco Fabbri. Per la scomparsa di Franco Battiato, adesso, è diverso. Le consapevolezze sono diverse, ed è diverso il sentire. Lo sappiamo, è opinione universale quella che dice che è scomparso un artista immenso, capace di unire diverse idee di culture contrastanti, capace di rompere muri e di aprire strade che nessuno prima di lui avrebbe osato attraversare. E se per questo l’idea della perdita si avvicina a quella dei più grandi, dei geni del tempo che abbiamo vissuto, per il resto convive un diverso modo di intendere quello che non c’è.

Le vie che ha imboccato Franco Battiato per molti non esistevano, o non potevano esistere, semplicemente perché non c’era possibilità di comprenderle. E questo credo sia intimamente legato alla terra dove Franco Battiato è nato e dove è morto. Era magma ed era alberi di leccio. C’è qualcosa in questi posti, in cima, sui fianchi e ai piedi dell’Etna, nei paesi e nelle città che abbracciano il vulcano, capace di accendere una scintilla dentro alcune anime. Sono convinto che Franco Battiato più di altri abbia covato questa luce, e che qualcuno abbia avuto la fortuna di scorgerla nell’iride scuro.

Ho conosciuto siciliani di vulcano, come lui, simili a lui. Capaci di essere cultura senza sfoggiare sé stessi come pietre dure. In grado di creare e distruggere con spaventosa, incomprensibile naturalezza, provocando anche sgomento per capacità così profondamente insite nell’anima da non essere considerate tali. Da non essere considerate e basta. Dovunque andasse Franco Battiato offriva l’immagine di un uomo comune, incapace di colpirti con una forza devastante, eppure ha scosso gli animi e provocato generazioni di dibattiti. La quiete del monte e la forza del magma.

Ci sono esseri speciali che riescono a compiere azioni speciali. Sono esseri che vanno oltre la specie, e che fanno specie. Nelle terre dell’Etna Franco Battiato era in testa a queste forme di specie, forme che riesco a vedere, in frammenti di luce, dentro pochi altri occhi. La loro creatività non ha ostacoli intellegibili, non ha limiti di tempo, non vede limiti di spazio, non ha barriere sociali. È capace di spiegare con cinque parole concetti che non sai di aver attraversato, di farti ragionare sulla coscienza, su argomenti che non sai considerare argomenti. Non sapevo, io, di possedere un dogmatico rispetto verso le istituzioni, e l’ho appreso da Mesopotamia.

Al di là delle sue canzoni, di quello che ha scritto e di quello che ha creato, Franco Battiato era l’essere speciale, un uomo ordinario, come ne incontri tanti sulla strada per Milo, con capacità straordinarie, talmente grandi da non essere visibili neanche a lui. Ecco, alla domanda sui resti del suo transito terrestre, su quello che sarebbe rimasto, possiamo dire che ha lasciato tutto, perché tutto si è portato via.

Seba Ambra -ilmegafono.org