C’è un treno che corre contro un muro ma brinda a se stesso, con arroganza. È destinato a schiantarsi, ma aumenta la velocità perché sogna che a staccarsi siano solo gli ultimi vagoni, quelli di terza classe. In testa al treno ci sono le carrozze di prima classe e il vagone ristorante, dove si brinda e si danza. I vagoni di coda sono affollati di umanità ai margini, nell’aria quell’odore che sa di fatica di vivere. Alla testa di quel treno c’è una vecchia maîtresse che si fa chiamare Lombardia e che, da tanto tempo, compiace la sua vanità: si guarda, si ammira e si perde nel suo stesso specchio. Lo sa di non essere bella, ma nasconde tutte le sue brutture dentro i salotti dei suoi bordelli, che prova a lucidare senza riuscirci, perché quei pavimenti che sembrano di marmo sono invece unti e scivolosi. Dal 1995 la Lombardia ha affidato il suo destino a personaggi che hanno avvelenato tutte le mele del giardino: la sanità, la scuola, il territorio, la legalità. Quei personaggi hanno nomi e cognomi. Da Roberto Formigoni ad Attilio Fontana, vassalli dei veri signori del castello: il cavaliere di Arcore e la Lega di Bossi e Salvini.

Attorno a loro, un esercito di figuranti e quaquaraquà: funzionari, sindaci e prefetti disposti a giurare fedeltà e negare tutto quello che era nelle loro facoltà. Qualcuno di loro, negli anni in cui Milano e la Lombardia diventavano il feudo e il forziere delle mafie, arrivava a negare l’esistenza delle stesse sul territorio lombardo: eppure dai tempi dell’inchiesta Duomo Connection era chiaro ed evidente come le mafie abitavano in quel territorio. Nonostante questo il prefetto di Milano, Gian Valerio Lombardi, negava pubblicamente l’esistenza di una emergenza mafia in Lombardia. Per la stessa ragione, l’allora sindaco Letizia Moratti addirittura impediva l’istituzione della commissione antimafia in consiglio comunale, che solo qualche anno dopo verrà istituita dalla giunta Pisapia.

Gli affari sono affari da sempre e chi si è autoproclamato “Locomotiva” d’Italia li sa fiutare, li insegue e li fa suoi. Le mani si allungano su tutto, e tutto diventa business: la sanità, la scuola, la mobilità e il territorio. La vita pubblica al servizio della logica del profitto, piegata e subordinata alla privatizzazione e ai guadagni di pochi. I signori del castello – Lega, Forza Italia e oggi anche Fratelli d’Italia – hanno creato un muro di potere impenetrabile, giustificato e approvato dai voti espressi dai lombardi ad ogni tornata elettorale. Poi, nel 2020, il virus del Covid e la pandemia fanno cadere le maschere e la Lombardia paga un prezzo altissimo di vite umane: alla fine saranno quasi cinquantamila le persone che pagheranno questo prezzo. La storia di quei mesi fra incubi e paure la conosciamo tutti: è la storia della zona rossa mai imposta in Val Seriana e di paesi, come Alzano Lombardo e Nembro, che diventano il simbolo di una tragedia senza limiti.

È la storia di fabbriche importanti che non hanno mai fermato la loro produzione, di camion dell’Esercito che, a Bergamo, restano allineati in una fila spettrale per caricare le bare dei morti, è la storia delle bugie e dei ritardi dei vertici della Regione. È la storia delle balbettanti teorie, al confine fra l’incompetenza totale e l’arroganza del potere, con cui il presidente della Regione, Attilio Fontana, e il suo responsabile della Sanità, Giulio Gallera, si giustificano davanti a tutto e tutti. Giulio Gallera verrà sostituito in corso d’opera da Letizia Moratti, mentre il presidente Fontana conserverà la sua posizione, protetto dal muro di protezione creato intorno a lui. Eppure, nessuno può aver dimenticato come si tentava in ogni modo di ridimensionare l’emergenza: erano i giorni in cui Confindustria spiegava che era importante non fare passare il messaggio di una regione “chiusa per coronavirus” e diffondeva il video intitolato “Bergamo non si ferma”, incitando i cittadini a continuare la loro vita come se nulla stesse succedendo. La Regione Lombardia difendeva quei sindaci e quegli imprenditori.

È la storia delle stragi degli anziani nelle RSA, dove arrivavano solo istruzioni contraddittorie da parte di Regione e autorità sanitarie locali, dove mancavano le misure di protezione personale e quelle bombole d’ossigeno senza le quali i pazienti peggioravano così in fretta che l’unica soluzione rimaneva quella delle cure palliative. Erano, quelli, gli effetti devastanti del disastro in cui era caduto il sistema sanitario lombardo, che da anni sceglieva di privilegiare il sistema privato. A tutto questo si aggiunse, dopo pochi mesi, la richiesta di rinvio a giudizio per il presidente Attilio Fontana, formalizzata dalla Procura di Milano. L’accusa era di frode in pubbliche forniture, per l’affidamento, da parte della Regione, di una commessa di 75mila camici per un valore di circa mezzo milione di euro, alla società del cognato. Accusa che però, va detto, si rivelò vana, perché Fontana venne pienamente assolto perché il fatto non sussiste.

12 e 13 febbraio 2023. La Lombardia va al voto per le elezioni regionali e ci va dopo che, in settembre, la destra peggiore, intrisa di razzismo e di nostalgie fasciste, ha stravinto le elezioni politiche. L’opposizione, o quello che resta di un’idea di opposizione, arriva a questo appuntamento in difficoltà, divisa come sempre da troppo tempo, incapace in questi decenni e ancora oggi di mettere in discussione quella struttura di potere che comanda in Lombardia. Non si può dimenticare la pochezza dell’opposizione in consiglio regionale anche durante gli anni della pandemia, quando non si è stati capaci di ottenere le dimissioni di una giunta vergognosa né, tantomeno, di ottenere il commissariamento della giunta stessa. Nel pieno della campagna elettorale la destra si stringe intorno ad Attilio Fontana, è ancora lui l’uomo su cui puntare per conservare il controllo e l’egemonia in Lombardia.

Dall’altra parte invece c’è confusione, c’è addirittura chi chiede di sostenere Letizia Moratti, dimenticando il ruolo che lei ha avuto come sindaco di Milano, come ministro dell’Istruzione ai tempi del governo Berlusconi, e come assessore al Welfare in Regione accanto ad Attilio Fontana. La lotta si restringe, di fatto, a tre nomi: Attilio Fontana, Pierfrancesco Majorino e Letizia Moratti. Indipendentemente dall’alternativa è incredibile che si sia arrivati a scegliere ancora Attilio Fontana, così come appare incredibile che proprio ad Alzano, il cuore del dramma della Val Seriana, Fontana abbia stravinto. Incredibile, e offensivo, che di quanto successo negli anni della pandemia non sia rimasta memoria.

La Lombardia ha dimenticato tutto: le decine di migliaia di morti, i camion di Bergamo con il loro carico di morti, la zona rossa e le fabbriche mai chiuse, gli scandali, la corruzione, la gestione privata della vita pubblica, la malasanità. E allora la conclusione non può che essere una sola: questa è la Lombardia nella sua realtà vera. Il resto sono solo chiacchiere di cui vergognarsi, ma anche per vergognarsi serve coraggio e questo coraggio la Lombardia non lo conosce. Quel treno continua a correre contro un muro, ma brinda a se stesso con arroganza perché sa che a schiantarsi saranno solo gli ultimi vagoni, quelli di terza classe. Lei, la Lombardia, continuerà ancora a compiacersi davanti al suo specchio, seduta nei salotti dei suoi bordelli. 

Maurizio Anelli -ilmegafono.org