Una cosa che dovrebbe stupirci quando si sente parlare di immigrazione è l’accostamento consueto che se ne fa con la parola “emergenza”. Il problema, a pensarci bene, è tutto qui. La mancanza di realismo e pragmatismo nell’affrontare la realtà che ci circonda. Bisognerebbe, laicamente, affrontare questo tema senza necessariamente considerarlo un problema ma cercando, pensando, provando delle politiche in grado di far sì che non si debba vivere nel consueto stato di emergenza cui noi italiani siamo abituati.

È innegabile che un processo migratorio, nell’epoca dei confini e degli stati nazionali, ponga delle questioni. Non necessariamente in ordine: l’integrazione, l’educazione, il lavoro, l’accesso ai servizi, l’accesso al welfare, il ricongiungimento familiare. A lanciare l’idea si rischia di essere eretici. Fateci caso. Di immigrazione si parla solo “all’ingresso”: chi può stare dentro, chi può stare fuori, chi può essere salvato in mare e da chi deve essere salvato; oppure “in uscita”: chi deve pagare quanto per il rimpatrio, chi deve essere rimpatriato, chi deve essere rimpatriato dove e con quali garanzie. Ma l’immigrazione è uno status quo, bisogna piantarselo in testa il prima possibile. Pensiamo come gestire e, possibilmente, rendere proficuo, sotto ogni punto di vista, il fenomeno migratorio.

Il discorso è cinico ma è l’intenzione. Per un motivo semplice. Come la pensiamo sul tema è noto a tutti i lettori e sarebbe pedante e oltraggioso nei confronti della loro pazienza e stima continuare a ribadire la nostra linea (per quanto, talvolta, sia necessario e doveroso). Ma il ragionamento vorrebbe essere uno sprone alle fazioni non-razziste del nostro parlamento. Le persone non si convincono con le idee, i proclami libertari. C’è una storia lunga almeno 70 anni di sinistra italiana che ce lo insegna. Ai furbetti travestiti da gangster vorrei si rispondesse con dei fatti e con i risultati di un approccio intelligente alla realtà.

Si legge spesso che il problema della fuga dei cervelli non è tanto la fuga quanto lo scarso ingresso di cervelli. Bene, se smettessimo di pensare che la Siria, per esempio, sia sempre stata “le rovine tristi di Aleppo”, potremmo anche sfruttare per un nostro arricchimento le conoscenze di chi entra nel nostro Paese. Da cittadino è una vergogna che si continui a trattare un’opportunità come un problema e che si continui a rimandare una scelta politica a favore di una scelta di impulsività. Forse sta nel nostro carattere a metà tra menefreghismo e impulsività abituati a un mondo che, prima o poi, si sistemerà da solo.

Penna Bianca -ilmegafono.org